Questo è stato definito come uno dei più brutali metodi di esecuzione al mondo, e per ovvi motivi: ecco come c’entra un elefante
Domanda: cosa pensate che potrebbe succedere se un elefante vi calpestasse? Sì, come si può intuire la cosa non avrebbe belle conseguenze: la morte potrebbe essere facilmente uno dei risultati. Motivo per cui, nell’antichità e fino a secoli e secoli fa, i pachidermi venivano sfruttati proprio per mettere in atto efferate esecuzioni. Ma non come pensate: peggio.
Mentre di questo tipo di diaboliche violenze ha più testimonianze per quanto riguarda l’India e il sud-est asiatico, sembra che il metodo venisse messo in atto già ai tempi e nei luoghi dei greci e dei romani. Del resto già a quei tempi la possanza di questi animali doveva essere ben nota: pensiamo anche a quali animali si portò dietro Annibale andando ad invadere Roma.
A quanto pare però questo metodo di esecuzione è stato adottato anche fino ad anni molto recenti: un tal Alexander Hamilton, marinaio scozzese, ne scrisse un rapporto nel suo libro del 1727 “Un Nuovo Resoconto delle Indie Orientali” nel quale descriveva queste esecuzioni messe in atto nel Siam, territorio corrispondente all’attuale Thailandia.
“Per [i reati di] tradimento e omicidio, l’elefante è il boia. La persona condannata viene legata a un palo piantato nel terreno all’uopo, e l’elefante viene portato a vederlo, e gira attorno a lui due o tre volte. E quando il custode dell’elefante parla al mostruoso boia, lui attorciglia la proboscide attorno alla persona e al palo”.
Ed è solo l’inizio: “Tirando il palo fuori dal terreno con grande violenza, lancia la persona e il palo in aria e quando lui scende giù lo cattura con le sue zanne, lasciandolo andare di nuovo; [quindi] mette avanti una delle sue zampe anteriori e lo spreme appiattendolo“. Una descrizione abbastanza eloquente.
Pensate che sia finita qui? Sbagliato. Altri racconti, come illustra la molto grafica simulazione di Zack D. Films (qui sopra), riportano di come gli elefanti potessero essere sfruttati anche per impalare i condannati con le zanne, strappare loro degli arti con la proboscide o semplicemente finirli con una sola “pedata” sopra una pietra, schiacciando loro la testa.
Credits: Corbis via Gerry Images
Alcuni elefanti, poi, potevano essere addestrati in modo tale da non uccidere subito la vittima, facendo girare il suo corpo per terra e infliggendo tortura per rendere la pena più severa e terribile. In altri casi ancora, persino, all’elefante potevano essere attaccate “appendici” come lame e altri strumenti nocivi per far sì che il tutto fosse se possibile ancora peggiore.
Secondo Hamilton, nell’impero indiano di Mughal la morte “tramite elefante” veniva riconosciuta come vergognosa e terribile; ciò nonostante, spesso poteva capitare che all’ultimo qualche condannato ottenesse il perdono, magari proprio quando la zampa dell’animale si trovava a pochi centimetri dalla sua testa. I sopravvissuti avranno di certo vissuto il resto delle loro vite con un trauma indelebile.