The Monkey: la Recensione del nuovo horror di Oz Perkins

Ecco la nostra recensione di The Monkey, nuovo horror di Oz Perkins tratto da Stephen King

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A cura di Flavia Orsini

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The Monkey è il nuovo attesissimo film di Oz Perkins, regista di Longlegs, tratto da un racconto di Stephen King e che promette già di essere l’horror dell’anno. Ecco cosa ce ne è parso

“Everybody dies, and that’s fucked up”.

Nella sua più totale macabra ironia, The Monkey si è imposto fin da subito come un possibile candidato alla nomina di titolo horror più discusso dell’anno. D’altronde, non potevamo aspettarci niente di meno dall’unione di tre teste di serie dell’universo horror; soggetto di Stephen King, regia e sceneggiatura di Oz Perkins (reduce dal successo di Longlegs) e produzione di James Wan (The Conjuring).

Nel 1969 Stephen King scrive questa short story intitolata La Scimmia e la inserisce nella raccolta Scheletri (Skeleton Crew) contenente ben 22 racconti brevi scritti nell’arco di diciassette anni. Ma perché basare un racconto su una scimmia? Diversi anni fa l’autore affermò di essersi ispirato a delle inquietanti scimmie giocattolo che vide su un banchetto di un venditore ambulante di New York e che, da quel momento in poi, iniziò ad associare alla morte.

Il racconto di King è, ovviamente, la copia carbone della trama del film, senza aggiunte o modifiche; è la storia di due fratelli gemelli che trovano in soffitta una scimmia giocattolo che suona il tamburo, ma ogni volta che lo fa, qualcuno vicino a loro muore. Quando i due ragazzi si sbarazzano del gioco, le cose sembrano tornate alla normalità fino a che, decenni dopo, le morti ricominceranno a prendere un ritmo sempre più serrato fino a che i due fratelli dovranno riunirsi per porre fine alla maledizione.

Apparentemente una storia horror come un’altra, ma qui subentra l’astro nascente Oz Perkins. Lo scorso anno è entrato improvvisamente nell’immaginario collettivo con il successo di Longlegs, dopo una carriera piuttosto anonima come attore e successivamente come sceneggiatore. Con The Monkey però attua un passo importante, dimostrando di non essere portato solo per il genere horror ma di avere anche una straordinaria vena comica.

Va segnalato, infatti, l’enorme abisso che c’è tra Longlegs e The Monkey; quest’ultimo è una vera e propria commedia horror che non si prende mai sul serio ma che piuttosto esiste solo in funzione di risate, sequenze all’insegna del grottesco e morti splatter. Estremamente lontano dal thriller investigativo dai temi cupi e satanici di Longlegs; ci sono però delle formule che tornano inevitabilmente come specifico marchio di fabbrica del regista.

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Ritroviamo i suoi indistinguibili e disturbanti tagli asimmetrici, la sua propensione all’atmosfera opprimente, l’insistenza estremamente perfezionista verso la sua personalissima estetica, le inquadrature decentrate e il semplicismo nei confronti di traumi e ossessioni (trauma generazionale e genitori inadatti).

Ma c’è una formula in particolare che rappresenta l’unico canale di comunicazione tra i due film del regista: un oggetto inanimato che funge da tramite attraverso cui opera il diavolo (o la morte stessa). In Longlegs aveva le forme di un manichino, qui invece di una scimmia giocattolo, così come in Annabelle era una bambola e in Wish Upon e The Possession un carillon antico.

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Tutti strumenti di morte che sbloccano una serie di cliché cinematografici come gli inutili tentativi di eliminazione/occultamento dell’oggetto, la maledizione che si tramanda di generazione in generazione o l’inevitabile morte di uno dei protagonisti per spezzarne l’incantesimo. Quindi perché The Monkey dovrebbe essere diverso rispetto agli horror del passato se torna sempre sugli stessi prevedibili temi? Perchè in The Monkey quei cliché sono presenti al solo scopo di essere beffati dal regista stesso con una satira estremamente pungente e audace.

Questo potrebbe limitare la trama stessa (e probabilmente è ciò che è successo in questo caso), ma come tutte le armi a doppio taglio, le intenzioni sono rilevanti tanto quanto i danni. E Oz Perkins è un maestro delle intenzioni. I suoi film sono sempre un gran manifesto della sua estetica cinematografica, un’estetica caratterizzata non solo da uno stile vintage inconfondibile ma soprattutto da un senso di imprevedibilità che tiene sempre in pugno la mente del suo pubblico.

In particolar modo qui, in The Monkey, viene riversata tutta la personalità di Perkins, dalla scelta di una soundtrack a tema anni ’60-’70 (menzione speciale alla scelta di mettere Twistin’ the Night Away di Sam Cooke alla fine del film dopo che al protagonista appare la raffigurazione biblica della morte sul cavallo bianco) all’inserimento di una serie di riferimenti cinematografici, camei e easter egg che dissetano la nostalgia del cinefilo medio fino alla trasformazione di una storia horror in una miscela di intrattenimento e humor nero.

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Il black humor è, infatti, il vero punto di forza di The Monkey. Soprattutto se si sposa alla perfezione con morti splatter e fuori dal comune, come successe già in Ready or Not e Thanksgiving. Inutile dire che per un film horror le morti sono una rappresentazione fondamentale per la riuscita dell’intrattenimento stesso, soprattutto quando si è giunti ad un’epoca in cui niente riesce più ad impressionare.

Eppure, The Monkey è riuscito ad elevarsi al di sopra del “già visto” ideando delle morti all’insegna della più folle creatività e dello spasso più macabro. Ma se parliamo di riferimenti cinematografici, il più chiaro e lampante che non possiamo non citare è Final Destination, tanto che The Monkey sembrerebbe quasi un film in preparazione al prossimo film della saga (Bloodline).

La morte che opera in modi imprevedibili, quasi beffardi e casuali, è di certo il primo punto in comune tra i due horror, con un focus in particolare su quel tipico susseguirsi di strane (e letali) casualità che portano inevitabilmente alla morte stessa. E questa formula, che sia vista e rivista, è pur sempre un intrattenimento vincente, nonché dinamico ed estremamente divertente.

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La scelta del cast è, infine, l’ennesimo assist di Perkins; al di là dei vari cameo brillantemente disseminati lungo il corso della storia, tra cui (piccolo spoiler) proprio quello del regista stesso, il cast è fondamentalmente composto da due gemelli interpretati in modo eccezionale dallo stesso attore: Theo James per la versione adulta e Christian Convery per quella adolescente.

Entrambi gli attori si dividono così bene tra le due diverse versioni di loro stessi quasi da non sembrare lo stesso interprete. La scimmia stessa è uno straordinario personaggio principale, con un design essenziale ma raccapricciante, inteso non solo come un mero tramite ma come un totem sacro che agisce come una vera e propri divinità del male.

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Omaggi cinematografici e easter egg sono, poi, un ulteriore fiore all’occhiello di Perkins; vedrete dei chiari omaggi alla filmografia del maestro della suspense Alfred Hitchcock (tra cui Vertigo, durante la scena della caduta nel pozzo; e Psycho, per quella del motel), e una serie di riferimenti (velati e non) alle storie di Stephen King, come Misery e Shining (i nomi di due personaggi saranno proprio Annie Wilkes e Torrance) e molti altri che toccherà solo al pubblico scovare.

Sarà più un gioco tra regista e spettatore che una vera e propria trama che stimola il pensiero, solleva questioni sociali rilevanti o si fa portatrice di una determinata morale. E questa è una delle poche anomalie del film, soprattutto quando giungi al secondo atto e la tensione in qualche modo si arresta senza che la trama attui un effettivo slancio d’azione.

Dopo Longlegs, infatti, questa è la seconda volta che la sceneggiatura di Oz Perkins tende a perdersi nel corso della narrazione, come se, arrivato ad un certo punto della sua elaborazione concettuale, non abbia più idea di come ri-avvolgere le cose e giungere ad una risoluzione conclusiva e realistica.

Di conseguenza, la sterilità delle sue sceneggiature, la mancanza di una vera e propria morale e una grave superficialità dei temi trattati ci fanno pensare che sia di gran lunga migliore come regista che come sceneggiatore. Ma la domanda è: i suoi film funzionano lo stesso? Assolutamente sì. Insomma, The Monkey non è solo un popcorn movie da andare a vedere al cinema per spegnere il cervello.

È un grido audace, carismatico e inconfondibilmente originale di un regista che ce la sta mettendo tutta per creare qualcosa di diverso, qualcosa che sopravviva al tempo e che in qualche modo possa lasciare un segno indistinguibile nell’immaginario collettivo. The Monkey è il film di un cinefilo (horror-centrico) realizzato per cinefili (horror-centrici) e c’è qualcosa di profondamente onorevole in questo che dovrebbe bastarvi per correre in sala a guardarlo. Dal 20 marzo al cinema.

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The Monkey: il Cast

  • Theo James: Hal e Bill
  • Christian Convery: Hal e Bill da bambini
  • Tatiana Maslany
  • Elijah Wood
  • Colin O’Brien
  • Rohan Campbell
  • Sarah Levy

The Monkey: il Trailer