Inoltre, mettere Lucio in coppia con Topo Gigio, in Rai fin dal lontano 1959, significa unire passato e futuro in un connubio unico e fiabesco, laddove lo stesso Corsi si presenta come “folletto” musicale dal carattere nostalgico ma, allo stesso tempo, in grado di coinvolgere le nuove generazioni cresciute con indie e bedroom (magari meno con la trap) e pur proponendo comunque uno stile tradizionale.
C’è poi la questione dell’italianità: per quanto vada benissimo che Sanremo negli ultimi anni si sia aperto alla musica e alle canzoni straniere, rimane pur sempre il Festival della Canzone Italiana, giusto? Per cui, che a vincere sia un brano british – nemmeno uno dei migliori di Adele, va detto – ci fa porre qualche domanda su quanto effettivamente “italiana” sia stata questa serata.
Certo, gran parte delle cover erano in italiano, ma è chiaro che l’ascendente di Skyfall in quanto colonna sonora di una popolare saga filmica estera deve aver avuto la sua parte nel voto finale. Si può capire come la “solita” Volare non abbia colpito altrettanto, ma forse a molti è sfuggito come lo spazio concesso a Corsi vicino a Gigio sia, seppur nei contenuti tradizionale, in realtà un vero segnale di innovazione.
Forse è troppo sostenere che i cantautori bizzarri e poetici come Corsi rappresentino una vera alternativa all’hyper-pop di auto-affermazione femminile e alla stagnante scena rap – che ora ri-accoglie qua e là un certo spessore cantautoriale – ma, almeno all’interno di questo Sanremo, sembra davvero qualcosa di “originale”, o che perlomeno autenticamente colpisce e emoziona.
Siamo sicuri che Skyfall, singolo inglese del 2012 cantato da due artiste già affermate e riconosciute, sia meglio?