A Complete Unknown, cosa c’è di falso nel film di Mangold?

A Complete Unknown racconta l'ascesa di un mito come Bob Dylan, ma cosa c'è di vero e cosa di falso?

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Cosa è vero e cosa è falso in A Complete Unknown?

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A cura di Fabrizio De Palma

In sala trovate A Complete Unknown il nuovo biobic su Bob Dylan, interpretato da un Timothée Chalamet in stato di grazia e diretto da James Mangold, già autore del biopic su Johnny Cash con Joaquin Phoenix (qui la nostra recensione).

Il film, presentato in anteprima a Roma, arriva in Italia a quasi un mese di distanza dagli Stati Uniti, dove era stato accolto in modo piuttosto favorevole, anche e soprattutto grazie all’interpretazione magistrale dei principali attori coinvolti. Ad affiancare la nuova star hollywoodiana più chiacchierata del momento abbiamo, infatti, un cast stellare che vede Edward Norton nel ruolo di Pete Seeger, una straordinaria Monica Barbaro nel ruolo di Joan Baez, Boyd Holbrook in quello di Johnny Cash e Elle Fanning in quello di Sylvie Russo aka Suze Rotolo.

Ognuno di loro ha fornito una prova attoriale superba, nei limiti del possibile consentito da una sceneggiatura, a dire il vero non sempre impeccabile, soprattutto per quanto riguarda la rappresentazione dei personaggi femminili. Una sceneggiatura che comunque è da considerare di stampo classico hollywoodiano, e che, per questo, in alcuni casi, si è vista “costretta” a tagliare, cucire e mescolare gli eventi, reali e fittizi, a scopi narrativi.

Anzi, stando a quanto ha rivelato Mangold in un’intervista a Rolling Stone, pare che in un caso sia stato lo stesso Dylan a chiedergli esplicitamente di inserire in A Complete Unknown un aneddoto totalmente inventato. Quale sia, non è dato sapere, ma ci arriveremo più avanti. In ogni caso, anche al netto di alcune “licenze poetiche”, che – sia chiaro – non inficiano il risultato finale ma certamente hanno fatto alzare qualche sopracciglio ai dylanologi più intransigenti, ci troviamo di fronte a una narrazione che si sforza di essere più realistica possibile.

Tutte le piccole crepe della realtà non fanno crollare l’edificio, ma lasciano filtrare, al massimo, un eccesso di luce che si inserisce, comunque, all’interno di una narrazione piuttosto solida e lineare, basata sul libro di Elijah Wald, Dylan Goes Electric!, opportunamente sottotitolato Newport, Seeger, Dylan, and the Night That Split the Sixties (in Italia Il giorno che Bob Dylan prese la chitarra elettrica).

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Certo, siamo parecchio lontani dai “sei personaggi in cerca d’autore” di I’m Not There (2007), il film sperimentale di Todd Haynes, in cui Bob Dylan veniva interpretato da sei attori differenti, ognuno dei quali rappresentava una parte diversa della sua vita e della sua anima; e del resto, si sa, “Dylan è vasto”, e come aveva detto lui stesso nel suo ultimo album, citando Walt Whitman, “contiene moltitudini”.

In questo A Complete Unknown di Mangold, queste si vedono sicuramente meno, poiché tutto l’arco narrativo si concentra su un unico periodo specifico della carriera di Dylan, quello che va dal ’61 al ’65, ovvero dal suo arrivo a New York come giovane folk-singer, alla famosa “svolta elettrica” durante il festival del folk di Newport. Una scelta strategicamente azzeccata in quanto evento cruciale, quasi mitologico, assolutamente perfetto per conferire al film e al personaggio l’epicità che merita.

Ecco allora tutto quello che c’è da sapere su A Complete Unknown per distinguere tra finzione e realtà:

Prima di iniziare a leggere vi consigliamo di andare a vedere A Complete Unknown al cinema perché a prescindere dalle libertà narrative, concordate con lo stesso Dylan, il film è una meraviglia per occhi, cuore e orecchie e merita di essere visto a prescindere dalla sua fedeltà assoluta alla realtà, essendo tra l’altro questo un concetto che ben poco si adatta alla natura “sfuggente” del personaggio in questione.

La validità di un’opera come questa non può essere certo valutata con la stessa lente di un documentario – e se per caso ne volete c’è solo l’imbarazzo della scelta: da Dont Look Back (1967) di D.A. Pennebaker a No Direction Home (2005) eRolling Thunder Revue (2019) di M. Scorsese (ma anche lì non sperate di trovarci “la verità” assoluta). A Complete Unknown è un’opera di fiction, anzi, un’opera di fiction straordinariamente riuscita nel raccontare quello che rimane, ancora oggi, “un completo sconosciuto” e al tempo stesso il più grande autore di canzoni del ‘900.

Fatta questa doverosa premessa ecco quali sono secondo i dylanologi più esperti le 10 principali scene di A Complete Unknown che non trovano riscontro nella realtà:

1. La scena in ospedale con Woody Guthrie

La scena

All’inizio di A Complete Unknown vediamo il giovane Bob Dylan recarsi a trovare il suo idolo, Woody Guthrie, ormai malato da tempo e ricoverato in ospedale a causa del morbo di Huntingdon, che gli impedisce di parlare. Si tratta di una delle scene più toccanti di tutto film perché rappresenta una sorta di passaggio di consegne: Dylan canta davanti al suo eroe al tramonto, una canzone che aveva scritto appositamente per lui, intitolata non a caso Song To Woody.

La realtà

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Peccato che tutto questo non sia mai avvenuto: una volta arrivato a New York, Dylan era andato sì a cercare Woody Guthrie, prima nella sua casa di famiglia a Howard Beach, nel Queens, e poi in quella dei suoi tutori Bob e Sidsel Gleason a East Orange, nel New Jersey, dove Guthrie passava i fine settimana e incontrò veramente Dylan per la prima volta. Ma quando si conobbero Dylan non aveva ancora scritto Song To Woody.

La canzone, in realtà, fu scritta dopo, ispirata proprio dal tempo passato insieme nei loro primi incontri. Tuttavia, a parziale supporto della versione cinematografica pare che durante le ricerche per il film sia stato trovato un vecchio disco di Guthrie appartenente a Bob Dylan, su cui quest’ultimo aveva disegnato sé stesso in viaggio verso New York e in basso a destra le parole della prima strofa della canzone.

2. Il primo incontro con Pete Seeger

La scena

Nella stessa scena dell’ospedale, seduto accanto a Woody Guthrie, è presente anche Pete Seeger (vera e propria leggenda della scena folk americana anni ’60), il quale rimane profondamente colpito dalla performance musicale di Dylan. Al punto da decidere di prenderlo sotto la sua ala e di ospitarlo a casa sua anche se l’aveva appena conosciuto.

La realtà

Peccato che anche questo sia falso. Seeger ha raccontato a Rolling Stone che il suo primo incontro con Dylan è stato al Greenwich Village, dove, dopo averlo sentito suonare, gli chiese di partecipare a una serata folk alla Carnegie Hall: “Ricordo che mi sedetti su un lungo tavolo con un gruppo di altre persone che avrebbero partecipato e dissi: ‘Gente, abbiamo solo il tempo di cantare tre brevi canzoni perché abbiamo tutti circa 10 minuti a testa’. E questo ragazzo magro alzò la mano con un sorriso ironico e disse: ‘Beh, una delle mie canzoni dura 10 minuti’. Credo fosse A Hard Rain’s A-Gonna Fall. Che canzone!”.