La seconda stagione di Monsters (al plurale, perché qui sono due), la serie di Ryan Murphy dedicata ai più efferati killer di sempre, ci riporta alla fine degli anni ’80 e alla storia vera di Lyle e Erik Menendez. Due giovani di buona famiglia che, nel 1989, assassinarono entrambi i loro genitori a fucilate nel loro soggiorno.
Rei confessi, i due sono tuttora in prigione da più di trent’anni e continuano a sostenere la loro versione: i genitori, il padre specialmente, avevano abusato di loro fin da piccoli con atti di violenza psicologica e sessuale. La serie ci fornisce il loro punto di vista, ma al tempo stesso lo smentisce: è possibile che si siano inventati tutto con il loro avvocato, l’imperturbabile Leslie Abramson.
Allora, la serie si tramuta in una grande riflessione sulla natura della verità, e su come è possibile narrarla per convincere chiunque di qualunque cosa. La lacrimevole storia di abusi è perfettamente credibile, ma lo è anche il modo in cui viene demolita. Chi dice il vero? E rimane poi una domanda: una storia del genere giustifica un doppio violento omicidio?
Monsters ci porta a domandarci tutto questo, fornendoci nel frattempo un intrattenimento crime di assoluto livello, con uno spaccato sulla vita dei due fratelli e sui loro piani diabolici. Impossibile stare dalla loro parte, ma non abbiamo di fronte nemmeno due canaglie da bassifondi: tant’è che, anche nella realtà, inizialmente il pubblico prese in gran parte le loro difese.
Il merito va in gran parte all’interpretazione dei fratelli, affidata a Nicholas Alexander Chavez (Lyle) e Cooper Koch (Erik). I due, chiaramente, non hanno gradito molto il loro ritratto nella serie e hanno avuto l’occasione di parlare in prima persona – sempre dal carcere – nel documentario Netflix intitolato semplicemente The Menendez Brothers.
In ogni caso, il punto di Monsters stagione 2 non è se i Menendez siano colpevoli o meno – o meglio, se il loro atto fosse giustificato: loro stessi riconoscono la propria colpevolezza – ma quanto sia facile manipolare la verità e imboccare al pubblico affamato un senso per una violenza che in realtà non ha senso. Nell’era delle fake news e della disinformazione, questo è più significativo che mai.