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L’Amica Geniale è una serie di grande successo di quattro stagioni, basata sui quattro romanzi omonimi di Elena Ferrante che sono stati un caso letterario mondiale.
Dopo essere stato un fenomeno letterario, L'Amica Geniale è diventato un caso televisivo: scopriamo le quattro stagioni con i loro registi e le loro caratteristiche
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L’Amica Geniale è una serie di grande successo di quattro stagioni, basata sui quattro romanzi omonimi di Elena Ferrante che sono stati un caso letterario mondiale.
Il libro (e la serie) hanno un’ampiezza di senso vertiginosa, abbracciando quasi sei decenni di storia seguendo l’esistenza di due ragazze, Lila e Lenù: quasi una vita intera per un racconto realmente corale, che parte da un rione vicino Napoli per allargarsi in tutta Italia per poi tornare dove è iniziata, per concludersi poi altrove.
Ma la trama è così complessa che pur non essendo possibile riassumerla in poche righe è necessario dare giusto qualche coordinata.
Il primo volume, L’Amica Geniale, è pubblicato nel 2011: raccontato in prima persona da Elena, e si apre con una forte prolessi narrativa dove c’è un adulto, figlio di Lila e Stefano, che chiede aiuto a Lenù per ritrovare la madre. È suddiviso in due parti, “infanzia” e “Adolescenza”, nelle quali due bambine, Elena (Lenù) Greco e Raffaella (Lila) Cerullo, molto intelligenti, sono insofferenti alle rigide regole del malfamato rione di Napoli dove vivono:
stringono un’amicizia intensa, ma con la fine della scuola elementare le loro vite si separano. Lenù continua a studiare, Lila non può permetterselo, ma i loro percorsi continuano ad intrecciarsi e la loro amicizia si fa via via più conflittuale. Il primo libro finisce con il matrimonio di Lila.
Il secondo, Storia del Nuovo Cognome, è del 2012, riprende esattamente dove aveva lasciato il primo, seguendo le due protagoniste negli anni Sessanta: con un ritmo travolgente, si perdono, si tallonano, si ritrovano, mentre il matrimonio di Lila fallisce e lei rimane sola con un figlio e Lenù si fidanza con un ragazzo della nobiltà torinese.
Il terzo, Storia di Chi Fugge e di Chi Resta, del 2013, si svolge negli anni Settanta, Lenù si sposa e pubblica un libro di discreto successo, torna a Napoli dove Lila, operaia di fabbrica, non sta bene e le fa promettere che se mai dovesse morire si occuperà lei di suo figlio.
L’ultimo, Storia della Bambina Perduta, è del 2014, e passa dagli anni Ottanta agli anni Zero: Lenù ha una relazione extraconiugale con l’uomo che ha sempre amato, che però la tradisce, ed è ormai una scrittrice affermata e amata; Lila diventa manager di un’azienda propria di computer. Quando però la figlia di Lila, Tina, un giorno scompare senza lasciare traccia, le loro esistenze prenderanno una strada nuovamente diversa che le porterà fino all’epilogo.
L’autrice della quadrilogia è Elena Ferrante: o meglio, si fa chiamare così, perché nessuno sa chi sia realmente l’autore. Elena Ferrante è infatti uno pseudonimo di un’autrice/autore inserito nel 2016 dal settimanale statunitense time nella lista delle 100 persone più influenti al mondo. La vera identità non è mai stata rivelata: si sono formulate diverse congetture, c’è chi ha cercato di risalire al vero nome attraverso flussi economici, concorsi, contratti, ma ad oggi nessuno sa chi si nasconda dietro quest’alias.
Alcuni sostengono si possa trattare di Anita Raja, saggista partenopea moglie di Domenico Starnone; mentre alcune ricerche stilistiche e stilo-metriche hanno orientato l’identificazione verso quest’ultimo, aggiungendo corrispondenze che riguardano personaggi familiari presenti nei romanzi di Ferrante e di Starnone. Ma sono stati fatti anche i nomi della storica normalista Marcella Marmo o del filosofo Marcello Frixione.
La serie targata Rai ed HBO ha avuto tre registi diversi, tre grandissimi registi italiani che hanno saputo cogliere le diverse sfumature dei libri e declinarli secondo la loro visione autoriali: Saverio Costanzo ha diretto la prima e la seconda stagione, Daniele Luchetti la terza e Laura Bispuri la quarta.
L’Amica Geniale è un mix esplosivo di emozioni e colpi di scena, personaggi a tutto tondo e un universo intimo e personale (quello dell’autrice) che pur non svelando nulla della sua identità anagrafica mette a nudo, letteralmente, il suo mondo, senza sconti: Wildside, HBO, Rai Fiction ma soprattutto Saverio Costanzo hanno lavorato di fino, però, e sono stati capaci di mettere in scena una trasposizione fedelissima all’originale che non fosse però meramente calligrafica, una pura e semplice copia conforme, ma assumesse i contorni emotivi del “nuovo” autore, dell’amico geniale della Ferrante ovvero Costanzo.
Anche tra loro (Saverio ed Elena) sembra ci sia una rincorsa come tra le due protagoniste (Lila e Lenù): una rincorsa fatta di allitterazioni e punti di vista, tra universo femminile e maschile, tra modernità e passato, fra dramma e nostalgia, senza soluzione di continuità, tra sfumature minime che colmano le distanze più vertiginose, con un doppio approfondimento psicologico -giocato ora sui dialoghi, ora sull’immagine- che non fa altro che arricchire l’opera rendendola se possibile ancora più sfaccettata e tridimensionale.
Su tutto, una regia pulita e potente, semplice ma profondissima, senza sbavature pleonastiche per non allungare neanche di un secondo il ritmo, senza falsare neanche per una sequenza la bellezza dell’insieme. Storia Del Nuovo Cognome sa darsi continuità stilistica con L’Amica Geniale, eppure proprio come nella sigla cambia restando fondamentalmente sé stesso: e il ribaltamento privato/pubblico si fa spontaneo, perché le vite individuali dei personaggi si rispecchiano in maniera quasi incontrollata, spontanea e naturale nel percorso storico e politico dell’Italia, mentre lì la ricerca è faticosa, forzata, stiracchiata mentre si ferma ad una parrucca che vuole ingannare il tempo.
Il rione diventa allora la metafora più lucente e straziante di un microcosmo soffocante, un non-luogo che risucchia la vitalità e restituisce povertà e miseria, una prigione di sofferenza e violenza dalla quale Lila e Lenù si sentono irresistibilmente attratte e respinte quasi nello stesso momento: e intanto, l’aggiunta della Alice Rohrwacher per la regia si fa preziosa perché questo Storia Del Nuovo Cognome cresce insieme alle protagoniste e si fa adolescente.
Nel senso che si mette il punto su chi si è e su chi si è diventati alla ricerca di una propria individualità e identità; e che la materia filmica insegue il corpo e si fa carne, scoprendo insieme a loro due la sessualità e spostando la narrazione -come si diceva sopra- su un piano pubblico, politico e culturale, aggiungendo la considerazione del corpo femminile in una società involuta su sé stessa.
Ed è (anche) per questo che L’Amica Geniale, serie e libro, è un capolavoro: per la sapienza di Costanzo e miscelare i toni -addirittura aggiungendo tocchi di horror nelle inquadrature, spesso di fortissima intuizione visiva- e per un comparto tecnico di prim’ordine. E poi per quella sua capacità innegabile di essere popolare e altissimo, di parlare con sincerità invidiabile e insieme con un linguaggio spietato di come siamo noi, per parlare di ieri e riflettere sull’oggi.
Creando dal nulla emozioni e contenuti, partendo da due ragazzine che scambiano le bambole e arrivando ad un trattato di sociologia che con la sua narrazione ampia e suggestiva copre il suo significante della Vita come fermento ingovernabile, da destreggiare con fatica. Un’opera controversa e bellissima, violenta e pulsante, e misteriosa.
E inafferrabile, come noi.
Se la prima stagione vedeva in cabina di regia un Costanzo che ha saputo perfettamente catturare lo spirito del tempo del racconto attraverso la sua cifra stilistica impetuosa e insieme vischiosa, riuscendo a dare il via alla storia attraverso i dibattiti esistenziali dentro cui si sbattono le protagoniste;
e se nella seconda si è aggiunta Alice Rohrwacher, che ha reinterpretato il quartiere, la vita quotidiana, il trascorrere del tempo e le ferite che lascia sui copri e sulle coscienze, restituendo l’affresco sociale attraverso la famiglia; per questa terza, Storia di Chi Fugge e Di Chi Resta, il capitolo più verboso e politico della quadrilogia letteraria -e probabilmente per questo il meno avvincente pure se sempre enorme, almeno dal punto di vista dei libri- arriva Daniele Luchetti, uno che di politica e costume se ne intende e non poco.
L’autore de La Scuola e di Anni Felici ha sempre raccontato in modo nuovo, con estrema partecipazione umana e senza contrapposizioni facili e scontate, destra e sinistra, fascisti e comunisti degli anni ’70; mettendo in controluce il talento nervoso dei suoi interpreti confrontandoli con personaggi mai facili o bidimensionali, abituati a mettersi in discussione.
E lo continua a fare, naturalmente, con la sua declinazione de L’Amica Geniale, volutamente ancorato alla realtà e ad uno stile che fa della verosimiglianza il suo credo, scegliendo come sempre di non concentrarsi sui protagonisti ma di intesser un’opera quanto più possibile corale, fotografando così nel miglior modo possibile, un paese, l’aria che si respira(va), i valori in cui si crede(va), e soprattutto le parole che (non) si dicono.
È insomma un lavoro in sottrazione, quello di Luchetti, che preferisce far parlare le azioni con i personaggi continuamente a confronto con la realtà: ed ecco che dal magma ribollente esce fuori allora la libertà femminile, la contestazione studentesca, la lotta operaia. È così che esce fuori un piccolo capolavoro: di scrittura, di riscrittura e di interpretazione. Perché ci pensano Margherita Mazzucco e Gaia Giraci a dare spessore ai loro caratteri, riempiendo ancora una volta di mille sfumature il rapporto complesso, sfaccettato, problematico e doloroso ce lega indissolubilmente Lenù e Lila.
Il libro della Ferrante è come una costruzione gigantesca e preziosa, costruita da abili muratori che si fanno raffinati architetti: tutto al proprio posto, tutto perfettamente inserito in una narrazione che sa essere coerente e incredibilmente densa e coesa senza rinunciare al fascino dell’affabulazione. Il suo adattamento cinematografico (perché si, L’Amica Geniale è cinema in tv in ogni senso) rispetta ogni virgola, ma soprattutto la sua struttura drammaturgica, traslando il linguaggio ma impedendo che ciò che rende la storia quella che è non scivoli via tra le maglie di una rete che abbraccia tutto.
Come nelle pagine, allora, anche nelle sequenze della serie tutto si specchia nella dualità delle due protagoniste: ora antagoniste, ora sorelle, ora nemiche ora sconosciute, sempre una la parte mancante dell’altra. Se Lila sceglie di restare e lavorare spezzandosi le mani e la schiena per un figlio che decide di crescere da sola senza un marito accanto, Lenù si allontana e va al nord, dove decenni fa lo studio permetteva orizzonti negati ad un meridione legato a determinate dinamiche economiche. Come una spola, le vite delle due donne vanno avanti e indietro tra povertà e ricchezza, felicità (poca, a dire la verità) e tristezza,
Il riscatto e l’invidia sociale, l’emarginazione culturale, la fragilità, lo sporco delle periferie, la sofferenza delle fabbriche, la frustrazione dello scrittore, l’esaltazione della realizzazione; e ancora, il femminismo, il patriarcato in crisi, la società dei consumi sono tutti gli elementi che contribuiscono a formare quel mosaico sfuggente che è la storia di un paese e quindi la sua cultura, la sua crescita, il suo passato e quindi il suo futuro. E dentro tutto, o sopra tutto, il cambiamento della società attraverso le storie che ne rivelano l’essenza mentre cambiano loro stesse sotto gli occhi dello spettatore (e del lettore).
Un flusso continuo, che Luchetti intelligentemente ritrae allontanandosi dallo stile di Costanzo e della Rohrwacher -ovviamente- e tenendosi ben saldo sulle sue ossessioni, nella sua confort zone da dove osserva l’Italia che sta cambiando non senza dolore. E allora mette dentro alla sua macchina da presa un vigore che nelle ultime prove su grande schermo si era leggermente appannato, una forza dirompente che scruta nell’intimo di tutti ma si apre al mondo che li circonda.
Se quindi lo svolgimento della narrazione si snoda su più punti di vista e percorsi, alla fine L’Amica Geniale si fa emozione mentre tenta di fondere rabbia e contemplazione, impulsi violenti e riflessioni teoriche; nel disperato tentativo, destinato a rimanere frustrato, di raggiungere la felicità.
Ci sono forze immani, straordinarie, in gioco, in Storia Di Chi Fugge e di Chi Resta: le forze motrici di anime che si arrampicano testarde per scavalcare i confini che la vita sembra imporre. Per sondare alla fine la vertiginosa verità che divide il bene dal male, la Bontà dalla Cattiveria, per colmare la distanza che separa i due concetti. “Mi sento brutta, di cattivo carattere. E tuttavia sento il bisogno di essere amata”, dice da qualche parte Elena Ferrante: il senso profondo di Lenù-Lila.
Per capire cosa sia, la Cattiveria, e cosa siamo noi.
Laura Bispuri è la regista scelta per la quarta e ultima stagione de L’Amica Geniale, Storia della Bambina Perduta. E non poteva esserci scelta migliore, considerando l’altissima temperatura emotiva dell’autrice che in pochissimi anni e con pochi film si è conquistata un suo posto nel panorama internazionale, anche in vista del feeling particolare tra lei e Alba Rohrwacher (tre film insieme su tre girati), che insieme a Irene Maiorino riceve in eredità i ruoli rispettivamente di Lenù e Lila dalle precedenti incarnazioni, ovvero Margherita Mazzucco e Gaia Giraci.
Una chiusura del cerchio perfetta: dove Costanzo aveva aperto la scena posizionando i personaggi con le sue dimensioni spaziali e temporali che avevano creato e impostato un’atmosfera vischiosa, fuori dal mondo e insieme profondamente legata ad un presente perpetuo; la Rohrwacher aveva innestato le riflessioni sociali all’interno del tessuto extraurbano; e Luchetti aveva teso un legame a doppio filo tra pubblico e privato, colorando di politica le passioni dei personaggi; nella visione della Bispuri famiglia e femminilità si dissolvono, esplorando sessualità, intimità e ruoli di genere con un approccio ribelle, riuscendo a rispettare in pieno e nello stesso tempo rendendo personale le pagine della Ferrante.
In questo modo, Storia della Bambina Perduta risplende con la sua capacità introflessa di esplorare tematiche profonde -che sono parte integrante dell’ossatura del libro- come la maternità, l’amicizia e le pressioni sociali.
La Napoli di Lila e Lenù, in una fase decisiva delle loro vite, è ancora e sempre di più un intreccio di miseria e tensione, meravigliosa nei suoi scorci di mare fino a che non ci si inoltra nel suo tessuto più intimo: è Lila che, nella sua disarmante ferocia, non esita a dire che il mare della baia è una chiazza di colore azzurro, finchè non ci si avvicina e ci si accorge che è soltanto fango.
Mai come in questi dieci episodi conclusivi, l’immagine della donna viene rivoltata e triangolata: genialità e distruzione, dolcezza e nichilismo, complessità e curiosità, la Lila della Maiorino e la Lenù della Rohrwacher hanno gli occhi brillanti di un’intensità emotiva che investe tutta la serie, in una profonda comprensione dei recessi più profondi dell’anima che rasenta la durezza della confessione, così lampante e chiara da diventare enigmatica.
I ritmi della storia assumono l’andamento della marea, fino agli ultimi due episodi (La Scomparsa e La Restituzione) incredibilmente densi sia nella recitazione che nella narrazione: la Bispuri entra dentro gli attori e li immerge nella realtà, con una potenza così forte che L’Amica Geniale non sembra più osservare la vita, ma quasi la sperimenta in prima persona.
E proprio come nel risveglio da un sogno, quando rimangono pochi granelli di immagini e di senso, una volta conclusa la storia è come se chi guarda riuscisse a comprendere il senso della smarginatura di Lila, per poi perderlo inesorabilmente, inevitabilmente: “A differenza che nei racconti, la vita vera, quando è passata, si sporge non sulla chiarezza ma sull’oscurità. Ho pensato: ora che Lila si è fatta vedere così nitidamente, devo rassegnarmi a non vederla più”