Dune: Prophecy è davvero come Game of Thrones? La Recensione della serie prequel

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Per il resto, la serie è ben costruita con almeno tre grandi attori tra i protagonisti eccezionali – Mark Strong, Emily Watson (Chernobyl) e Travis Fimmel (Vikings) – ma per pochi personaggi autenticamente interessanti. Sarebbe stata forse una buona idea, per esempio, riservare più tempo alla storia delle giovani sorelle Harkonnen, Valya e Tula, mentre l’enigmatico e sornione Desmond Hart (Fimmel, in un ruolo che ricorda molto il buon vecchio Ragnar Lothbrok) è forse l’unica figura della storia che si distingue e rimane davvero memorabile.

Insomma, non abbiamo una brutta serie ma una serie fatta per i fan e i conoscitori di Dune, specie quelli che ne hanno esplorato la complessa lore in lungo e in largo. Lo spettatore casuale difficilmente potrà restarne coinvolto, pure se – continuando il paragone con GOT – qualche scena violenta e almeno una di nudo trovano la loro parte. Ma le macchinazioni e contro-macchinazioni per la conquista del trono dell’Impero spaziale sono silenziose e astute, lasciano poche tracce e colpiscono nell’ombra.

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In questo, Dune: Prophecy somiglia forse più ad House of the Dragon che a Game of Thrones, ma magari entrambi i paragoni sono impropri. La somiglianza principale è infatti quella che ricollega la serie all’opera dello stesso Herbert: un’opera fatta di sfumature e costruzioni concettuali e argomentative, fortemente filosofica, in cui un discorso o una parola tagliente feriscono più di spade e armi futuristiche. Se è questo il tipo di racconto che cercate, Dune: Prophecy è la serie che fa per voi.

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