In che modo il romanzo di Gregory Maguire, Wicked, ha rivoluzionato la concezione del villain nel cinema moderno?
Che Wicked sarebbe diventato uno dei film più acclamati dell’anno c’erano davvero pochi dubbi: per settimane tutti ci siamo vergognati di canticchiare il ritornello di “Defying Gravity” sotto la doccia e tutti abbiamo avuto il feed intasato dalle immagini di Ariana Grande e Cynthia Erivo agguerritissime nel contendersi l’esiguo schermo dei nostri cellulari.
Eppure, nonostante il film sia bello da vedere e soprattutto da ascoltare, a tutti noi che siamo andati a vederlo in sala sarà capitato di avere come un déjà vu, quasi come se questo film lo avessimo già visto; chi durante la visione ha pensato a Frozen, Joker oppure a Maleficent non si sbagliava.
Wicked è imparentato con ognuno di loro ma, al contrario di quanto si possa credere, è proprio la storia di Elphaba ad avere generato tutte le altre. La pellicola di Jon M. Chu non è altro che una trasposizione del romanzo Wicked: The Life and Times of the Wicked Witch of the West, un’opera fondamentale per l’evoluzione della narrativa moderna, sia letteraria che cinematografica. Ma andiamo con ordine.
C’è stato un tempo in cui andare al cinema significava imbattersi, per la maggior parte, in una serie interminabile di titoli che condividevano il proprio nome con quello del paladino coraggioso e dotato di encomiabili virtù che stava al centro della vicenda. Si trattava di modelli eroistici praticamente perfetti, costruiti a tavolino per piacere ai ragazzi e per apparire come dei buoni esempi agli occhi dei genitori.
A queste figure eccezionali venivano contrapposte quelle altrettanto irreali dei villain, che non erano semplicemente dei personaggi votati al male, ma rappresentavano in maniera pura il male. Così come per Scar e Mufasa o per Joker e Batman, accadeva molto spesso che questi cattivi non avessero neanche un reale motivo per avercela a morte con i nostri eroi.
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