Nosferatu, la Recensione dell’horror di Robert Eggers
In sala dal primo gennaio, l'atteso Nosferatu, l'ultimo film diretto da Robert Eggers con un supercast a dominare l'oscura scena. Ecco la nostra recensione.
Non c’è nulla di meglio che iniziare l’anno cinematografico con film come Nosferatu, che battezzerà il 2025, ed Emilia Perez (qualche giorno dopo). Un vero inizio col botto dunque, con Robert Eggers che non tradisce affatto le attese e sforna il suo ennesimo grande film. Una reinterpretazione più che un remake, pur rimanendo strettamente fedele ad un racconto che è storia del Cinema e non solo, visto che attinge a piene mani dal Dracula di Bram Stoker. Famosa in tal senso l’aspra diatriba legale che nel 1922 costrinse Murnau a cambiare il titolo e distruggere le copie del film (tutte tranne che una, per fortuna). E così, oltre cento anni dopo, Nosferatu torna al cinema in un’altra salsa.
Ormai più che appurato che stiamo vivendo l’era dei sequel, dei remake, dei reboot e chi più ne ha più ne metta. Alcuni escono bene, altri molto meno. E per fortuna, questo Nosferatu rientra nel primo macrogruppo, quelli usciti veramente molto bene. C’era (e c’è tutt’ora) un’attesa spasmodica, anche legata al nome di un regista, Robert Eggers, già autore di brillanti horror come The VVitche The Lighthouse. Col recente passaggio a Universal, aveva momentaneamente messo da parte l’orrore puro per raccontare una storia amletica di violenza, The Northman, dove il risultato, seppur buono, ha causato molte perplessità generali.
Al secondo film con Universal però, il consenso generale, almeno quello d’oltre oceano, è più che positivo, con i vari aggregatori che sfondano il muro del 90% di positività . La palla ora passerà al pubblico italiano, che dopo i bagordi della notte di San Silvestro, potrà addentrarsi nelle tenebre che aleggiano in Nosferatu. I punti di forza di questo film sono moltissimi, tra cui spicca senz’ombra di dubbio la scelta di voler mettere in scena quella che è stata per Robert Eggers una vera e propria ossessione. Aveva soli nove anni quando si approcciò al capolavoro dell’espressionismo firmato Murnau, e da là , la mente dell’artista non ha mai eseguito l’archiviazione mnemonica.
Nosferatu racconta una storia sul Male, sulle dipendenze e sulle ossessioni, dove sembra non esserci una vera e propria soluzione, se non quella della morte come unica via d’uscita. Il marcio di Orlak contamina ogni cosa, come un morbo pestifero dal quale è impossibile fuggire. Il Male che incarna il vampiro dunque viene spogliato da ogni forma del classico fascino che attrae e respinge. Non ci sono oceani del tempo da attraversare, ma solo la voglia di imporre la propria volontà su una Lily Rose Depp meravigliosa nel ruolo di Ellen, con momenti di overacting di altissima caratura, in pieno stile Isabelle Adjani in Possession (che sembra ispirare ormai ogni scream queen di ogni horror recente come Immaculate e The First Omen, sdoganando lo stile di recitazione).
Per raccontare questo male, Robert Eggers compie una scelta che possiamo definire quantomeno coraggiosa, ampliandone il suo concetto anche su un piano registico. Sin dalla sua introduzione infatti, Eggers decide di mostrarci il Conte Orlok in una maniera singolare, che potrebbe essere quasi “sbagliata”, con virgolette d’obbligo. La sua presenza infatti viene raccontata infrangendo ogni regola cinematografica esistente, di quelle più basilari. Appare e scomparse infrangendo la regola dei 180, scavalcando il campo a più riprese. E ancora, è perennemente in ombra, la sua voce sembra essere un perenne fuoricampo, salvo quando viene inquadrato, dove però risulta fuori fuoco. Insomma, pseudo-errori, se così possiamo definirli, che delineano Orlok come un Male tanto sul piano filmico quanto su un piano profilmico.