L’influenza di Alien, il cult sci-fi horror di Ridley Scott, è viva ancora oggi: ecco perché il film del 1979 rimane un capolavoro irrinunciabile e una pietra miliare, nonché forse il migliore nell’opera di uno dei più importanti registi di sempre
Ridley Scott e Alien
Ridley Scott è entrato nella storia del cinema per molti film: il neo-noir sci-fi Blade Runner, l’epica romana Il Gladiatore (e il suo sequel del 2024), il road movie in rosa Thelma & Louise, e molti altri. Ma se si dovesse scegliere un film in particolare nella sua nutrita filmografia, la scelta ricadrebbe facilmente su Alien.
Scritto da Dan O’Bannon, il cult del 1979 rimane un momento di svolta per due generi di cinema: la fantascienza e l’horror. Fusi insieme in un incubo ambientato nello spazio profondo, i due generi si intersecano in una storia di sopravvivenza che vede un’equipaggio e poi una donna da sola – Ellen Ripley – affrontare un mostro alieno raccapricciante. Da lì in poi, nulla è mai stato come prima.
Slasher e cyberpunk
Alien è un film slasher, tecnicamente, e arriva in un’epoca in cui questo sottogenere horror – tra Halloween e Venerdì 13 – è al suo apice. Il mostro dà la caccia alle vittime in uno spazio chiuso e limitato, l’astronave, e le sorprende uccidendole una alla volta; non manca lo scontro con la final girl – Ripley – l’unica sopravvissuta e più per caso che per calcolo.
Allo stesso tempo il film riscrive l’estetica e i motivi della fantascienza, muovendosi verso il cyberpunk – realizzato appieno poi da Scott in Blade Runner – e adottando uno stile lontano dagli spazi aperti e luminosi di Star Wars e del sci-fi classico. Abbiamo invece corridoi bui, luci surreali, spazi chiusi e atmosfere letali. L’alieno stesso è un’entità con la quale non può esistere alcun dialogo: è un assassino, punto.
Horror e nichilismo
Mettendo insieme questi elementi, il film di Scott fornisce una versione di una avventura nello spazio che è nichilista, opprimente e terrificante, senza parlare della sottotrama che riguarda l’ignobile etica aziendale della Weyland-Yutani e la metafora della violenza sessuale perpetrata dall’alieno stesso sulle sue vittime umane. Il film è cinico, grottesco e profondamente disturbante.
C’è una visione del futuro, della tecnologia e delle specie extra-terrestri che è intensamente negativa e che contrasta con la strenua positività sia della Hollywood classica che di quella “hippie” – Star Wars, appunto – anticipando un decennio di orrore, gli anni ’80, espresso nei film con violenza, senza censure e con sempre maggior carica traumatica.
Per fare questo, Scott non si risparmia né sugli effetti speciali – lo xenomorfo, disegnato da H.R. Giger e animato da Carlo Rambaldi, è una icona istantanea – né sui contenuti espliciti, di cui la terribile scena del chestburster rappresenta l’apice. La sua regia e il montaggio privilegiano un senso di alienazione (è il caso di dirlo) e di isolamento, trasformando il set – la Nostromo – in un’unica gigantesca trappola.
Alien è un manifesto di una fantascienza nuova – energica, estrema, efferata, audace – che parla a un pubblico di giovani e che ha lo scopo dichiarato di impaurire ma anche di sollevare tematiche scabrose e scomode, rimestando nel torbido e sfruttando la lotta con lo xenomorfo per aprire infinite questioni sul destino dell’umanità: sarà un destino oscuro? La decisione, come sempre, è nostra.