Questa casa discografica spagnola ha “sotto contratto” solo cantanti e band I.A., le cui canzoni e i tratti artistici sono cioè realizzati con intelligenza artificiale
La I.A. è ormai molto utilizzata nella musica, e non è un segreto. C’è chi si limita a imitare le voci di cantanti famosi, chi compone brani con intelligenza artificiale e chi, invece, mette su progetti musicali completi. Non solo singoli artisti o band, ma un’intera casa discografica, come in questo caso.
In Spagna è nata infatti All Music Works, che ha “sotto contratto” (per così dire) esclusivamente artisti I.A.. Sarebbe a dire che tutto di questi artisti, dalle canzoni alle immagini promozionali, dalle copertine degli album ai contenuti social e i loro nomi stessi, è stato creato dalla tecnologia; non si tratta di persone né musicisti reali.
Il progetto della casa discografica abbraccia una sua propria etica: “In All Music Works non ci limitiamo a seguire le regole, le riscriviamo. Siamo un collettivo creativo, un’etichetta discografica e uno studio di produzione musicale. Ma soprattutto siamo pionieri nell’integrazione dell’intelligenza artificiale nella musica”.
“Questo è il nostro motto: ‘La tecnologia non è solo uno strumento, è una forza creativa‘. Crediamo nella convergenza di elementi umani e tecnologici per trasformare l’industria musicale”. L’idea è precisa, quindi. Alcuni nomi di questi artisti? Motel Loïc, The Good Dog, Riftboys, Alma Brava. Ecco la biografia fittizia e la copertina di un album di quest’ultima: come vedete, è perfettamente convincente.
“Alma Brava, spagnola di Barcellona, è un’anima sensibile e poetica che è riuscita a catturare l’essenza della vita quotidiana e delle sue esperienze attraverso le sue canzoni. La sua musica, un’affascinante fusione di pop alternativo, folklore spagnolo e ritmi latini, è sia un riflesso del suo patrimonio culturale che un’espressione della sua moderna visione del mondo”.
La domanda è un po’ sempre quella: come distinguere tra queste produzioni e quelle di artisti in carne ed ossa? E poi: conta che gran parte delle produzioni mainstream di oggi sia affidata comunque a computer e software? Dove tracciare, allora, il confine tra strumento e non-strumento? Quindi: ha senso porsi ancora domande come queste?