Il cinema giudiziario: quando i processi diventano spettacolo

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«È lecito oltrepassare il limite della legge in virtù di un ideale?» è il motto di un film potentissimo come Il Processo ai Chicago 7 (Aaron Sorkin, 2020); «La giustizia è una scienza esatta oppure è soltanto la più convincente tra le ipotesi?» è il dubbio che ci accompagna durante tutta la visione de La Parola ai Giurati (Sidney Lumet, 1957); «La deontologia professionale di un avvocato può sfociare nella complicità in un omicidio?» si domanda il personaggio di James Stewart in Anatomia di un Omicidio (Otto Preminger, 1959).

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Queste pellicole, divenute ormai dei punti di riferimento per il cinema giudiziario, non hanno fatto altro che applicare il principio della spettacolarizzazione ad una serie di dilemmi morali irrisolvibili, raccogliendo il consenso di un pubblico che ama guardare la degenerazione di questo tipo di riflessioni.

È inoltre fondamentale in questo genere di film tutto quel simbolismo legato ad esempio alle rappresentazioni della dea bendata (che nel film di Eastwood non fa che barcollare), ai martelletti dei giudici che scandiscono dei momenti cruciali per la narrazione e alle svolazzanti bandiere statunitensi che immancabilmente compaiono in ogni fotogramma della pellicola; insomma, tutta quella roba retorica per cui andiamo pazzi, anche se ci vergogniamo tanto ad ammetterlo. 

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In fin dei conti, i connotati di un trial film, come direbbero gli americani, non sono poi tanto dissimili da quelli posseduti da un qualsiasi action di Ridley Scott, come dimostra il classico senza tempo di Sidney Lumet dove, a volte, l’enfatizzazione di alcuni scambi di battute non teme il confronto con i magniloquenti discorsi di Massimo Decimo Meridio.

Magari è per questo che è così difficile pensare, in relazione a questo genere cinematografico, a dei film italiani veramente memorabili. Forse, ancora una volta, è tutto riconducibile ad una questione di DNA, ed è giusto che sia così: che gli americani si tengano pure le loro storie processuali ricche di suspense e di artificialità; noi ci accontentiamo di Un Giorno in Pretura, a noi piace la pura e semplice realtà.

Di Giuseppe Savoca

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