Scafismo: la terribile pena di morte dell’antica Persia

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La pratica dello scafismo, detto anche “le barche”, era una pena di morte dell’antichità davvero terrificante. Ecco in cosa consisteva

Nel corso della storia molti – purtroppo – sono stati i metodi di tortura e morte ideati dalle varie civiltà, ma questa dello scafismo è una pratica che a ripensarci oggi suona particolarmente raccapricciante. C’è da dire che non ci sono fonti sicure sulla sua esistenza, ma più una leggenda legata alla letteratura greca – per la quale chiaramente i persiani erano nemici inumani – e che risale a Plutarco.

La leggenda è quella di Mitridate, ucciso dal re persiano Artaserse II – che tanto per capirci era il nipote di Serse, lo stesso re persiano villain di 300 – proprio con questo metodo perché colpevole di aver ucciso il fratello del re, Ciro. In cosa consisteva quindi questa tortura? Come avrete capito, con lo “scafismo” c’entrano le barche e il mare.

La pena di morte – perché di fatto poi di questo si trattava – è degna dei Greyjoy di Game of Thrones: si incastrava una persona legandola tra due barche, facendola stare ferma in acqua in modo che non potesse muoversi né scappare. Poi gli si faceva ingerire a forza latte e miele finché non stava male, e gli spargeva il resto sul corpo; questo ogni giorno.

Il latte e il miele finivano inevitabilmente con l’attirare una miriade di insetti, che pian piano consumavano la carne della vittima mentre il malcapitato seguitava a vomitare e a ristare nell’acqua colma delle proprie evacuazioni ed escrementi. Questo finché, a quanto pare, tante piccole disgustose bocche non causavano la sua morte. Sì, non un bel modo di andarsene.

Fonte: LADBible

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