Sono passati 24 anni da quando Ridley Scott ottenne con Il Gladiatore uno dei più grandi successi della sua lunga e venerata carriera. Premiata con cinque premi Oscar, tra cui Miglior film, l’opera del cineasta inglese, narrante l’epica lotta tra Massimo Decimo Meridio (RussellCrowe) e lo spietato Imperatore Commodo (Joaquin Phoenix) fu il primo Kolossal del Terzo Millennio e contribuì a far risorgere il genere del peplum, all’epoca morto e sepolto da decenni, attraverso la messa in scena di una storia di vendetta ucronica, intrecciata alla lotta di classe e all’abbattimento della tirannia, come già fece Stanley Kubrick in Spartacus, in nome del sogno cullato dall’Imperatore Marco Aurelio (Richard Harris): quello di una Roma Repubblicana, giusta e libera dal decadimento dei costumi.
Dopo quasi un quarto di secolo di rumors, teorie e sceneggiature scritte e riscritte da vari sceneggiatori, Ridley Scott riporta il grande pubblico nell’antica Roma imperiale, dirigendo il sequel dello storico peplum, sfidando da subito le svariate perplessità e le opinioni avverse degli appassionati di cinema e del primo film.
Dopo aver visto Il Gladiatore II in anteprima, ci sentiamo di affermare che Ridley Scott sia riuscito a vincere la scommessa contro se stesso, portando in scena, a quasi ottantasette anni (il 30 novembre), un ottimo film, capace di essere coerente sia con il suo illustre predecessore sia con il percorso autoriale intrapreso in quest’ultima fase di carriera, volta all’abbattimento delle icone e agli immaginari da lui stesso creati. Vediamo il perchè.
Il Gladiatore II, la trama
200 d.C. Vent’anni dopo la morte di Massimo Decimo Meridio, avvenuta per mano di Commodo, morto anch’esso nel duello svoltosi dentro il Colosseo. Roma ancora in preda al caos ed alla tirannia. Il protagonista, Lucio Vero (Paul Mescal), figlio di Lucilla, nipote di Marco Aurelio e nipote di Commodo, viene ridotto in schiavitù in seguito alla conquista della Numidia, dove viveva con la moglie e il figlio, ad opera delle legioni di Marco Acacio (Pedro Pascal). Ispirandosi ai ricordi delle gesta di Massimo, Lucio combatterà come gladiatore della scuderia di Macrino (Denzel Washington) e sfidare il potere degli imperatori Caracalla (Fred Hechinger) e Geta (Joseph Quinn).
Il Gladiatore II, la recensione
Per effettuare un’analisi corretta, è necessario partire da una premessa. Innanzitutto Il Gladiatore II non è, e non vuole essere, come il suo ingombrante predecessore. Se era abbastanza prevedibile che il sequel dell’ormai classico del 2000 avrebbe mantenuto la narrazione e, soprattutto, la continuità con il primo film, mostrando una Roma oramai definitivamente decaduta e putrida, ove le giovani generazioni sono mandate a morire in nome di capricci e vanagloria di pochi, non altrettanto scontata era il taglio esasperatamente macchiettistico dato da Scott agli antagonisti di Lucio.
Le figure degli imperatori Geta e Caracalla presentano notevoli differenze con il personaggio di Commodo. Con quest’ultimo condividono la spietatezza e la folle ambizione, ma se Commodo rappresentava la follia autodistruttiva e il patologico bisogno di essere amati, innescati dal continuo confronto con l’ombra di suo padre, che rivede in Massimo l’erede che ha sempre desiderato, i due antagonisti del sequel sono, coerentemente con il contesto del film, solo due bambocci (specialmente Caracalla), tanto viziati quanto pericolosi, totalmente privi di una qualsivoglia visione.
Il popolo non ha il pane? Che si nutra di guerra. Il famoso panem et circenses passa dall’essere il dono di Commodo al popolo perchè esso lo ricordi come un padre amorevole ad un mero capriccio personale, volto a soddisfare il bisogno perverso di violenza del potente di turno, attraverso uno show sempre più grande (duelli tra gladiatori, gladiatori contro rinoceronti e , infine, la naumachia della battaglia di Salamina nell’arena del Colosseo).
Non solo. Le dinamiche con cui Macrino si infiltra nelle stanze del potere, detenuto da uomini tanto frivoli quanto manipolabili, ricalca perfettamente la scalata al potere di Patrizia Reggiani in House of Gucci , la quale, analogamente a Macrino, sbatte in faccia allo spettatore la realtà di fatti, ovvero quello di un potere gestito da freak che si autodistruggono tra di loro, portando a fondo con sè tutto e tutti, e di come il sogno di Marco Aurelio, 20 anni dopo, sia diventato pura utopia. Marco Aurelio parla di fantasie, Macrino invece parla di pura e crudele verità di fatti.
In tutto questo, come collocare ed analizzare la figura di Lucio Vero? Data l’impossibilità di fare spoiler sui collegamenti con il primo film, possiamo dirvi che il primo impatto di Paul Mescal con una produzione di così ampia scala è da promuovere ma senza gridare al miracolo. Egli non ha il carisma naturale di Russell Crowe ma riesce a far trasparire perfettamente il giusto mix di rabbia e odio verso Roma, e ciò che rappresenta, e forse anche la sua inesperienza al kolossal rende credibile il suo personaggio alla ricerca di una causa diversa dalla vendetta, per cui credere e combattere, e il suo viaggio dell’eroe all’interno di quel covo di serpi che è Roma.
Al riguardo, risulta emblematica una citazione dell’Eneide che Lucio recita davanti agli imperatori dopo aver sconfitto un gladiatore. Essa riassume perfettamente il suo personaggio e percorso all’interno del film:
” Facilis descensus Averno: noctes atque dies patet atri ianua Ditis; sed revocare gradum superasque evadere ad auras, hoc opus, hic labor“
” Scendere agli Inferi è facile: la porta di Dite è aperta notte e giorno; ma risalire i gradini e tornare a vedere il cielo qui sta il difficile, qui la vera fatica. “
Virgilio, Eneide, VI, 126-129
Molto interessante la figura di Pedro Pascal che è, paradossalmente, un personaggio che presenta non poche analogie con il Russell Crowe del primo film. Come lui, anche Marco Acacio è un generale, abile nel combattimento, con un profondo legame con la vita contadina e profondamente disgustato dallo stato in cui versa Roma e da chi la governa. Stesso ragionamento vale per Lucilla, la quale ricopre a grandi linee stesso ruolo e minutaggio del primo film.
Per quanto riguarda il lato tecnico, è quasi banale soffermarsi sulla maestosità degli effetti sonori e visivi presenti nelle scene di massa e di guerra, ma è doveroso sottolineare come la regia di Scott abbia saputo perfettamente giostrarsi tra i momenti intimi e le scene di guerra, esattamente come il primo film. Sugli scudi la splendida fotografia di Mathieson, presente anche nel primo film, e tornato a collaborare con Scott dopo oltre un decennio. Meno incisiva, rispetto al lavoro di Zimmer, la colonna sonora di Harry Gregson-Williams. Piccola chicca: i titoli di testa ricalcano lo stile dei titoli di coda utilizzati da Scott in Robin Hood.
In conclusione, ci sentiamo di consigliarvi la visione de Il Gladiatore II, e vi invitiamo come sempre a lasciarci la vostra opinione nei commenti.