Hey Joe è una storia autentica di bellezza e di ritorni. Quello di un padre alla ricerca del proprio figlio, dell’emozionante cinema di Claudio Giovannesi e del potentissimo James Franco. Nel cast anche Francesco Di Napoli, Aniello Arena, Giulia Ercolini e Francesca Montuori. Qui la nostra recensione.
Hey Joe, La trama
Anni ’70, Dean Barry è un veterano di guerra statunitense che ha combattuto la Seconda Guerra Mondiale, la guerra di Corea e del Vietnam. Ma è soprattutto un uomo che ha perso sé stesso, nella distruzione delle cose che man mano gli si sono sgretolate intorno. Grazie a una lettera provvidenziale che racconta di un figlio e del suo desiderio di conoscerlo, decide di mettersi in viaggio dagli Usa per andare in Italia. Tra barriere linguistiche ed emotive, del trauma e della distanza temporale, si fa strada un rapporto completamente nuovo attraverso i danni e le ferite dell’abbandono. In una Napoli stremata dove amarsi, nonostante tutto, è ancora possibile.
Hey Joe, La Recensione
Come si fa a non perdere la speranza? “Non importa quanto sei andato in basso nella scala della vita, ci sono sempre due strade da percorrere. Se sei arrivato a raschiare il fondo puoi semplicemente arrenderti, oppure superare l’inferno e aiutare qualcun altro a farlo grazie alla tua esperienza”. Vogliamo iniziare così, con una frase di James Franco durante la première al Festival del Cinema di Roma, la recensione di “Hey Joe”, nuovo film di Claudio Giovannesi. E vogliamo iniziarla così perché questa è stata una bella prova di cinema d’autore, sostenuta da grandi ritorni.
Quello del regista, che dopo la Paranza dei Bambini ritorna con un film strutturato e maturo, portando la firma autentica di una mano registica intima e delicata, per alcuni versi unica. E quello di James Franco, lontano dai riflettori solo per prendere la rincorsa e tornare “ad Itaca” dopo qualche anno di fatiche e consapevolezze.
“Hey Joe” è la storia di tante cose, ma soprattutto la nostra. Racconta di uno spaccato di vita partenopeo, quello del dopoguerra e degli anni ’70, in cui la “nuttata” sembrava non passare mai, come avrebbe scritto Eduardo De Filippo nella sua Napoli milionaria, ispirata proprio a quegli anni.
La regia di Claudio Giovannesi
Napoli, città di speranze tra confusione, perdizione e legalità approssimativa; Napoli che, giorno dopo giorno, cercava di frenare i colpi di chi le sparava al cuore. È in questo contesto che si inserisce il “sogno americano” di una città completamente in ginocchio, piegata dai bombardamenti, dalla fame e dalle miserie. Una città dove mancava tutto, eppure in qualche modo riusciva a non farsi mancare nulla.
Claudio Giovannesi ha la straordinaria capacità di raccontare in modo poetico, delicato e profondamente rispettoso la realtà di una città che spinge i registi solitamente alla ricerca dell’eccesso. Lo fa con elementi precisi e nostalgici, nel richiamo ad esempio delle signorine che aspettavano i soldati americani tra i gradoni dei vicoli dei Quartieri Spagnoli. “Hey Joe” costituiva infatti l’appellativo, il gioco della seduzione ma anche l’invito a mettere insieme quei mondi apparentemente così lontani.
Musica e fotografia: la Napoli di quegli anni
Mondi che sono stati uniti anche e soprattutto grazie all’amore per la musica, dalla commistione di elementi musicali tipici della tradizione partenopea e della cultura americana. Giovannesi e gli sceneggiatori Massimo Gaudioso e Maurizio Braucci non lasciano nulla al caso.
Lo percepiamo dalla scelta di lavorare molto sulla memoria e raccontare ad esempio i club dei bassifondi partenopei, frequentati da americani a riposo e le entraineuse di accompagno, e lo fanno sottolineando in qualche modo anche la nascita di un gruppetto di mascalzoni latini che non a caso di nome facevano James, Joe, Tony, Rino, Tullio…e Pino (Daniele). Un supergruppo che ha avuto il suo apice nel 1981 ma la cui l’origine risale proprio agli anni ‘50-’60, tra i vicoli della Napoli dilaniata dalla Seconda Guerra Mondiale, trasformata poi nel cuore pulsante europeo del ritmo, del groove, del sangue e del sudore musicale. Il resto è storia.
E poi le sapienti mani della fotografia oscura e iperrealista di Daniele Ciprì, capace di dare il giusto colore agli spazi e la giusta intensità alle espressioni, in un dialogo costante con lo spaesamento fisico e percettivo del nostro protagonista.
James Franco, welcome back
James Franco forse realizza la sua più bella prova della maturità. È un tutt’uno con la macchina da presa e con i personaggi. Il rischio, o meglio la paura, prima di vedere il film è che potesse rimanere in qualche modo distante e scollegato da una realtà troppo diversa e lontana nel tempo. Il risultato invece è stato esattamente l’opposto, nell’incontro meraviglioso di due lingue, due culture, due realtà complementari, quelle complesse di un padre e di un figlio.
James porta metaforicamente e non il peso di una ripresa tutta in soggettiva, non lasciando nessuna via di scampo al sentire dello spettatore. Come un pugile sul ring che si muove a ritmo di telecamera, ogni scena è su di lui, regala il suo punto di vista, non molla nessuna espressione, e ce le racconta attraverso gli occhi e i silenzi dei primi piani.
Ogni ruga corrisponde ad un vissuto, ogni sospiro all’ansia del ritorno a Itaca dopo vent’anni, non solo del personaggio, ma anche dell’attore stesso. Perché non è solo Dean Barry a distruggere e poi ricostruire, a far uscire un incantevole spiraglio di luce dopo le macerie. E ci arriva con grande compostezza il suo senso di elaborazione e liberazione.
Gli altri protagonisti
Ci arriva anche nell’ interazione con gli altri personaggi della storia che non sono da meno: il “ritrovato” Francesco Di Napoli (La paranza dei bambini) il riuscitissimo Aniello Arena, le rivelazioni Giulia Ercolini, Giada Savi e Francesca Montuori.
Francesco Di Napoli, alias Enzo, è figlio di una città che ti inghiotte. Della malavita che non chiede mai permesso, che non offre e restituisce alternative. Ma nel rapporto con Dean Enzo riesce ad annullare le distanze, a sentirsi nuovamente vivo, figlio reale di qualcosa e di qualcuno. La chimica con James Franco è potente, gli sta addosso come gli stanno addosso le telecamere, nei respiri e nelle intenzioni. Ma soprattutto è colui che determina la liberazione del padre affermando la sua personale condanna, incarnata perfettamente dalla voce del boss e padre adottivo Don Vittorio (Aniello Arena).
Hey Joe come luogo dell’anima
Che sia verità o leggenda, “Hey Joe” è un luogo dell’anima. L’idea e il senso più profondo del perdono e del ritorno: ai ricordi, alle origini, ai rapporti imperfetti, che, come questa città, ti divorano e spesso ti restituiscono. Alla malinconia e al coraggio che spinge alla ricerca del viaggio. Ma soprattutto ai silenzi e alle presenze che valgono più di qualsiasi rumore. A questa città che, per quanto lontano si possa andare, è ciò dove tutto ritorna. E che alla fine salva, salva sempre.
Hey Joe, Il Cast
James Franco: Dean Barry
Francesco Di Napoli: Enzo
Giulia Ercolini: Bambi / Angela
Aniello Arena: Vittorio
Gabriel Riley Hill Antunes: Dean a 19 anni
Giada Savi: Lucia Stendardo
Francesca Montuori: Nunzia
Donovan W. White: Josh
Hey Joe, Il Trailer
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