Coppola non si inventa dunque nulla di nuovo: New Rome è lo specchio dei nostri tempi, una società cinica e spietata che infarcisce i suoi cittadini con panem et circenses per tenerli buoni, e, se ci pensa bene, somiglia anche un po’ ad Hollywood, un sistema gerarchico nel quale fa strada soltanto chi è in grado di rispettare le regole; non c’è posto per gli uomini come Catilina, per coloro che sognano un mondo diverso.
Ed è qui che si colloca l’ambivalente posizione del regista rispetto ai suoi personaggi: se da una parte sembra lecito schierare Francis Ford Coppola nelle fila dei Cicero, e dunque tra coloro che hanno forgiato quel linguaggio cinematografico che noi oggi definiamo “classico”, dall’altra è evidente constatare come, attraverso Megalopolis, Coppola lo voglia anche distruggere questo stesso linguaggio, un po’ come farebbe Catilina.
“Lo scopo della vita non è stare dalla parte della maggioranza, ma evitare di ritrovarsi nella schiera dei pazzi.” È molto probabile che queste parole risuonassero in maniera continua nella mente di Coppola durante la lavorazione di Megalopolis. Del resto, per dedicare anima e corpo a un progetto che ha avuto una gestazione di oltre trent’anni e sul quale nessuno ha voluto puntare nemmeno un soldo, ci vogliono sia delle spalle abbastanza larghe e sia una buona dose di follia, entrambi degli aspetti chiaramente ravvisabili all’interno del film.
Così come Catilina è convinto di poter cambiare il mondo attraverso il suo “megalon”, un materiale in grado di rendere possibile le utopie, Coppola si immagina (forse anche un po’ ingenuamente) di stravolgere la percezione del mondo degli spettatori attraverso la propria pellicola.
Solo una mente anarchica come la sua avrebbe potuto portare sullo schermo un’opera così artisticamente emancipata come Megalopolis che esibisce certamente una messa in scena fuori dai canoni, ma anche dei momenti francamente retorici, per non dire pretenziosi (penso alla rottura della quarta parte andata in scena durante alcune proiezioni selezionate).