Anora, Recensione del film vincitore al Festival di Cannes
Al cinema dal 7 novembre, Anora, nuovo film diretto da Sean Baker che lo consacra definitivamente come regista da seguire con attenzione. Ecco la nostra recensione.
Cantava Frankie Hi-Nrg, nel suo capolavoro Quelli Che Ben Pensano, che “gli ultimi resteranno ultimi, se i primi sono irraggiungibili“. Si può riassumere così il cinema di Sean Baker, che guarda a questi ultimi da vicino, indagandoli nelle loro vite contraddittorie rispetto a quello che è il famigerato sogno americano. Un sogno che per l’appunto sembra essere tale, ben lontano dalla realtà del self-made-man tanto decantato. Un tema che viene sviscerato in ogni sua forma, da più punti di vista contestualizzati da vari personaggi a loro modo maledetti.
Anora le prova tutte per fuggire, presentandosi e pretendendo di essere chiamata con un altro nome, un diminutivo, come per scrollarsi di dosso le sue origini. E prova a non accettare la vita che merita, tentando per l’appunto l’impossibile scalata sociale. Forse è amore vero, forse è solamente volontà di fuggire e cogliere al volo un’opportunità . Facile giudicare in maniera semplicistica e maschilista, relegando il giudizio a semplice approfittatrice, la ragazza. Dietro c’è molto altro, tanto.
Tre atti, diversi tra loro, con i quali Sean Baker ci porta dentro la vita di Anora. Da una versione dissacrante e realista di Pretty Woman ad una chiosa finale in cui Ani ha uno scatto di orgoglio e tristezza, passando per il secondo, meraviglioso, viaggio nella New York notturna e caotica, che fa da sfondo al momento più tragicomico del film. Una virata di genere che cambia radicalmente la prima parte, iniziando di fatto una vera e propria catabasi dantesca verso un finale malinconico. Più passa il tempo (nel film), più la situazione si incupisce e più Anora si copre fuori e si scopre dentro, invertendo il trend iniziale, dove si spogliava per essere guardata e mai vista, proteggendosi nelle sue forme.