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Ecco la nostra recensione di Iddu, nuovo film su Matteo Messina Denaro con Toni Servillo e Elio Germano
Iddu- L’Ultimo Padrino è in sala dal 10 ottobre 2024.
È il terzo film dei registi Antonio Piazza e Fabio Grassadonia, e in qualche modo è la terza parte di una trilogia ideale che vuole raccontare e restituire una dimensione della Sicilia sempre legata all’attualità , ma slegata dall’immaginario comune e declinata attraverso un sentimento onirico, che collega il dolore del presente ad un passato ancestrale fatto di favole, miti e figure leggendarie.
In questo senso, Iddu (Premio Pasinetti alla Mostra del cinema di Venezia 2024) è l’approdo definitivo di un percorso iniziato con Salvo (Gran Prix2013, PrixRevelation alla 52° Semaine de la Critique a Cannes) e proseguito con Sicilian Ghost Story (David di Donatello 2018 alla miglior sceneggiatura non originale dei registi, Nastro d’Argento 2017 alla fotografia di Luca Bigazzi, miglior scenografia a Marco Dentici, Globo d’Oro al Giffoni Film Festival): dove il primo film racconta di un serial killer che fugge da un agguato insieme al suo boss latitante, mentre il secondo segue i sogni di Luna, una ragazzina innamorata di un suo compagno -sequestrato dalla mafia- che non rivedrà mai più.
Un percorso che ha visto prima l’esplorazione a metà strada tra il noir e il melò, poi un teen drama fantastico di ambientazione mafiosa, quindi con il nuovo film il trionfo della dimensione arcaica, primordiale, onirica, religiosa, di una terra -la Sicilia- dove il presente sembra imploso sotto il peso di un passato esploso.
Nel cinema di Piazza e Grassadonia è tutta una questione di figli senza padri: di uomini che non hanno più punti di riferimento, nel momento in cui la linea genealogica si spezza per polverizzare le logiche oscure e malate del sopruso e del malaffare. Iddu in questo senso è l’esemplificazione più alta e più compiuta delle ossessioni dei due registi, nel momento in cui il loro Matteo (ovvero Elio Germano) è un Amleto virato al negativo perseguitato dal fantasma del padre: ma anche nel vedere che ogni personaggio è figlio o padre di qualcuno, e sempre soverchiato dal legame.
Che sia Matteo con il padre morto, o la poliziotta Rita Mancuso (Daniela Marra), o Pino Tumino (Giuseppe Tantillo) che da cognato cerca ossessivamente un padre in Catello Palumbo (Toni Servillo), o Stefania (Antonia Truppo) che vive nell’ombra -letterale- del padre: tutti cercano un riferimento genitoriale o lo hanno perso, tutti inseguono le ombre del proprio passato ma nessuno riuscirà a sfuggirgli.
Su tutto, la mano e la visione felice di Piazza e Grassadonia celebra un’ibridazione di generi che trova nel film una compiutezza inseguita fino ad oggi: è il ritorno di certo cinema politico italiano, che riacquista la grinta e la sottile intelligenza di un tempo ma contemporaneamente sa padroneggiare uno sguardo nuovo e originale sul genere e sulla realtà circostante.
È per tutto questo che allora Iddu parla di Matteo Messina Denaro ma non è la storia di Matteo Messina Denaro: e che al centro c’è iddu (lui, in dialetto siciliano) ma rimane sempre chiuso nella sua stanza buia, motore immobile intorno al quale ruotano tutti i personaggi senza mai interagire. Anzi, quando si prospetta un climax con la convergenza dei tre protagonisti (Catello, Matteo e Mancuso) il montaggio esclude l’action ed evita l’emozione, svicolando lateralmente ma riuscendo lo stesso a farsi racconto denso e intenso.
Le angolature di Iddu sono sempre sbilenche, surrealistiche quasi, fiabesche nei colori; e ogni personaggio è trasformato, deformato in maniera quasi caricaturale per restituire un racconto che è nel perfetto equilibrio tra dramma e commedia, seguendo la linea del surreale.
Un film enigmatico, quasi come il personaggio di Barbora Bobulova.
Eppure alla fine sappiamo di aver capito tutto.