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Iddu – L’Ultimo padrino è il nuovo film dei registi Antonio Piazza e Fabio Grassadonia, già autori di Salvo e di Sicilian Ghost Story (qui la nostra recensione).
Dopo il successo di Sicilian Ghost Story, i registi siciliano tornano con un'altra storia potente e visionaria che rievoca Matteo Messina Denaro
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Iddu – L’Ultimo padrino è il nuovo film dei registi Antonio Piazza e Fabio Grassadonia, già autori di Salvo e di Sicilian Ghost Story (qui la nostra recensione).
GLF: Iddu – L’Ultimo Padrino si ispira in qualche modo a dei particolari della vicenda di Matteo Messina Denaro: rileggendoli però in maniera inedita e particolarmente autoriale. Pensando ai vostri precedenti film, ovvero Salvo e Sicilian Ghost Story, mi sembra che stiate cercando di raccontare pagine di cronaca nera “deistituzionalizzandole”, ovvero costruendo film personali che declinano la realtà in un’ottica sorprendente. Il melò, con Salvo, la fiaba nera, con Sicilian Ghost Story…
Antonio Piazza: Si, stiamo prima di tutto confrontando con i temi che la nostra esperienza di vita ci ha portato ad affrontare. Noi siamo nati e cresciuti in Sicilia, negli anni Ottanta, anni che hanno determinato la nostra vita e la storia d’Italia, ma in maniera molto forte sotto questa cappa di malaffare.
Ci è sembrato fin dall’inizio che continuare ad osare determinate forme e stilemi, lavorando sempre all’interno di aspettative in quello che poi nel corso degli anni è stato definito il “genere Mafia”, quella era una strada che non ci portava da nessuna parte. Ci sembrava una strada così tanto battuta che fondamentalmente era incapace di produrre senso, riflessione. E non riusciva quindi a coinvolgere neanche il pubblico in una sorta di interrogazione e stupefazione.
Allora con la storia terribile di questo bambino sequestrato dalla mafia, che passa due anni in condizioni disumane, e che alla fine viene dissolto nell’acido, ci sembrava che il senso di quest’esperienza di annichilimento della vita umana avesse privato il protagonista delle forze di esperienza che ci rende, almeno in teoria, degli esseri umani: l’amore. Abbiamo allora voluto raccontare la vicenda da un punto di vista particolare, proprio da quello di un’ipotetica compagnetta di storia con la quale il bambino vive una storia d’amore che non consumeranno mai perché lui sparisce.
Ma lei non si arrende e continua a cercarlo, e lui in quest’esperienza terribile prigionia non si arrende e non perde la propria umanità proprio perché sorretto dall’amore. Per Iddu ci siamo ispirati ad un carteggio realmente accaduto nel 2006 tra il latitante Denaro e un ex sindaco del suo paese di origine, un carteggio che dava vita ad una sorta di strana danza tra due strani personaggi, ma nella quale si annidava la commedia: perché leggendo e studiando i tantissimi pizzini ritrovati negli anni non solo si poteva mettere a fuoco la personalità di un criminale narcisista patologico, ma in qualche maniera il tipo di mondo che emergeva dalle lettere, questo ci ha colpito molto. Un mondo grottesco, che se non fosse orrendo farebbe ridere.
GLF: in questo mi pare abbia contato molto la presenza di un attore come Toni Servillo, che dà sfogo alla sua incredibile perizia espressiva e passa dal sorriso al pianto, da un’inspiegabile ferocia ad una levità da commedia. D’altro canto, invece, Elio Germano funziona da motore immobile: il classico puparo, è fermo in mezzo al vorticare degli eventi, e anche la sua recitazione sembra più fredda-.
Fabio Grassadonia: Si, si. Anche da un punto di vista di movimento fisico dei personaggi all’interno del film è come dici, perché volevamo che il personaggio di Servillo rappresentasse questo mondo grottesco, un po’ patetico.
Invece il Matteo di Germano abita in una casa fatta di chiaroscuri, piena di ombre e stanze misteriose, pressoché sempre chiusa, lui lo vediamo fuori (a parte i flashback, ma che sono più che altro proiezioni mentali) un’unica volta, in quella strana sortita nella quale lui e la signora interpretata da Barbora Bobulova decidono di bruciare la vigna, e sembra quasi un divertimento: è una scena che rende conto di uno stato di psicopatologia, un criminale che noi abbiamo reimmaginato rispetto all’idea che ci eravamo fatti come un patologico iper narciso.
Tu hai nominato il puparo: nel nostro immaginario cinematografico il puparo è quello, ma in realtà il film Iddu vuole scardinare anche questa cosa, perché quello che è un puparo, nell’articolarsi e del disfarsi della storia, è anche lui un pupo vuoto e agìto. Agìto dai fantasmi, dai suoi fantasmi.
GLF: a proposito di fantasmi, mi sembra molto bella e interessante la lettura che mi piace dare anche in relazione alla stessa menzione di Shakespeare che si fa nel film, ovvero accostare il “vostro” Matteo all’Amleto di Shakespeare.
Antonio Piazza: si, è un punto di vista a cui teniamo, perché c’è un riferimento paterno molto ingombrante, nel film. Che comunque prende spunto dalla vicenda reale, perché il padre di Matteo Messina Denaro era un mafioso potentissimo, legato alla massoneria e ai servizi segreti. Era una figura alleata dei corleonesi ma non subalterna, assolutamente tradizionale al punto che si dice che la mafia italoamericana, quando aveva qualche figlio “degenere”, cioè un ragazzo di mafia che non stava dentro le regole, lo mandava proprio a Castelvetrano dal padre di Matteo Messina Denaro a “scuola di mafia”.
Il personaggio a cui ci siamo ispirati è di questo tipo: abbiamo costruito un quadro di una paternità incombente, patologica, assorbente, e comunque tutti nel film sono padri distruttori: anche Catello Palumbo (Servillo) è un padre distruttore. La sua famiglia la ritroviamo distrutta all’inizio del film, in miseria per il suo agire, ma anche poi per questo strano figlio adottivo, ovvero il marito della figlia, che è un po’ il candido del film. Che ovviamente molto incautamente lo sceglie come genitore, si ostina a chiamare Catello “papà”, ma anche lui farà una brutta fine, tragica.
Fabio Grassadonia: però, come dicevi tu Gianlorenzo, questa è un’osservazione molto giusta e pregnante. Quando si dissolve, quando si cerca di scappare da questo tipo di paternità tossica, non trovi niente altro o trovi qualcuno che si presenta come padre adottivo ma in realtà ti sta solo manipolando. In qualche modo il nostro Matteo è un personaggio che da quel cono d’ombra non sa più uscire.
GLF: Mi pare che dopo lo scossone della pandemia e il terremoto in sala che ha dato il Covid, le abitudini degli spettatori siano cambiati.
Nel senso che adesso il grande pubblico accorre al cinema per vedere non più il cinepanettone o in qualche modo l’opera costruita a tavolino per sbancare al box office, bensì si sia (ri)costruito un pubblico che vuole i grandi eventi, i film che promuovono un dibattito culturale, le opere dei registi e degli autori. Non è un caso se in classifica oggi ci siano Il Robot Selvaggio, Iddu, Smile 2, Megalopolis, Vermiglio, Joker Folie a Deux: sono tutte storie con una fortissima impronta autoriale o in ogni modo film profondamente legati ad una visione politica della società di adesso.
Fabio Grassadonia: Guarda, noi facciamo fatica a riconoscere un modello. Sicuramente quello che dici è vero, perché si è visto fin dall’anno scorso alcuni film (Wim Wenders o lo studio Ghibli) che hanno guadagnato e hanno sorpreso. Quello che mi sembra però di poter dire che alcuni film pensati per essere blockbuster hanno deluso le aspettative: questo ha aperto spazi insperati per altri film che invece, avendo la possibilità di non essere schiacciati da un film dominante, hanno la possibilità di incontrare un pubblico.
GLF: mi sembra che stiano andando bene film che il pubblico vuole vedere subito, perché magari aprendo i social (che sono una realtà, oggi, con cui nel bene e nel male dobbiamo fare i conti) devono poter dire qualcosa riguardo al film che è l’argomento del giorno. E ovviamente, quasi sempre questi film sono film importanti, intelligenti, pensati.
MG: per quanto ci riguarda, è esattamente come dici e siamo consapevoli di fare film che suscitano un dibattito. Anche perché, e in fondo qui torniamo alla tua domanda iniziale, la forma paludata di certi film o fiction ha completamente perso la forza che aveva un tempo. E di conseguenza, la strada è anche prendersi dei rischi, calcolati e pensati, ma prendersi rischi ed essere audaci dal punto di vista artistico.