The Substance, Recensione dell’horror con Margaret Qualley

La nostra recensione di The Substance, body horror diretto da Coralie Fargeat con Demi Moore e Margaret Qualley assolute protagoniste. Al cinema a partire dal 30 ottobre.

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Di film che vi entreranno fin sotto la pelle, come The Substance, non ce ne sono molti. E quelli che già esistono, si trovano tutti quanti dentro questo instant cult firmato Coralie Fargeat, già regista dell’altrettanto bellissimo Revenge. L’ennesima conferma che in Francia, non solo sanno fare cinema, ma da qualche decennio, sanno anche fare dell’ottimo horror. Autori che hanno rilanciato il genere, rivoluzionandolo a più non posso. E chi loro, se non i massimi esperti in rivoluzione. Un popolo che, in fin dei conti, ha pur sempre decapitato il loro sovrano in tempi non sospetti. E quindi lunga vita a loro, e al cinema francese, finché ci regalerà queste perle e correnti come la Nouvelle Vague e la New French Extremity.

The Substance, la Trama

Avere ed essere una nuova versione di sé. È questo quello che fa la sostanza, regalare una nuova vita parallela dove si è più giovani, belli e aitanti. Quasi per caso, Elizabeth, ex stella del cinema in discesa libera verso il dimenticatoio, ne viene a conoscenza e decide di provarla. Ci sono però delle regole ferree da seguire e che puntualmente verranno tuttavia aggirate, con conseguenze che porteranno ad un caos incontrollabile.

The Substance, la Recensione

Lo shock visivo come mantra, come condicio sine qua non del cinema e del body horror di cronenberghiana memoria. Attirare lo sguardo dello spettatore, farlo suo, fino a tagliare l’occhio con un rasoio di bunueliana memoria. The Substance regala sensazioni contrastanti, dove ad essere costantemente violentato è proprio lo sguardo dello spettatore. La bellezza con i suoi canoni imposti viene declinata in ogni forma, da quella giovanile e perfetta a quella senile in decadimento, con la voglia di migliorarsi un po’ per sé stessi, un po’ per gli altri, un po’ per necessità assoluta. E la violenza insita nel film è tutta qua, nello sguardo che abbiamo e che riceviamo.

Nel 2016, con The Neon Demon, Nicolas W. Refn ci aveva già raccontato che la bellezza non è tutto ma è l’unica cosa. E quasi dieci anni dopo Coralie Fargeat riporta in auge il tema, dando una sua visione, simile per certi aspetti, diversa per altri. Cos’è la bellezza, dunque? Difficile rispondere, nonostante per secoli si è tentato di dare una risposta valida ed esaustiva per tutti. Ad oggi, la bellezza sembra voler dire essere accettati e guardati, in un costante rapporto di tensione tra l’essere oggetto passivo e attivo, guardati inconsapevolmente e consapevolmente. Pur sempre però, “l’unica cosa“.

Questa tensione viene proiettata da un trio meraviglioso, in perfetta sintonia, in un film di donne e per donne, dove la Fargeat dirige magistralmente Margaret Qualley, sempre più una conferma, ma soprattutto una sontuosa Demi Moore, completamente rilanciata dopo un periodo buio (complice anche le vicende personali). Probabilmente è complesso pensare a un film come The Substance senza le due co protagoniste, anche per via della storia in sé che ci trascina di fatto in un oblio, quello di Elizabeth, che da attrice premio Oscar si trova costretta a fare uno squallido programma di fitness, fino all’interruzione del contratto perché troppo anziana. E perché il pubblico vuole vedere ragazze giovani. Il che è singolare visto che si tratta di un programma dedicato principalmente alle donne (o almeno così dovrebbe essere).

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Da questo rifiuto, parte quindi una storia basata su sguardi e dualismi, sulle persone e sulle personae (in latino, maschere) e di conseguenza sull’inevitabile alter ego social che ci costruiamo, su quella tensione costante che tutti noi subiamo consapevolmente o inconsapevolmente. Creazioni che portano alla distruzione del creatore, come un Prometeo contemporaneo e non più moderno. Gli omaggi ad un certo tipo di cinema sono molteplici, mai invasivi. The Substance è puro postmodernismo, dove gli immaginari vengono ripresi e omaggiati, quindi portati in una decostruzione progressiva, generando un qualcosa di nuovo e mai visto. Il che può suonare come un paradosso ma tant’è.

Ogni cinefilo potrebbe incagliarsi nella sensazione di film déjà vu, tante sono le citazioni di cui la Fargeat ci delizia. Eppure, partendo da una base solida, come quella evergreen degli omaggi, la regista francese tira su un tempio sublime, dove la bellezza lascia sensazioni sgradevoli, acuite dalla volontà di costruire un body horror raccapricciante in moltissime scene. Perché se la bellezza è tutto, lo è anche lo shock. Ed è proprio sullo shock che The Substance si basa, sul voler restituire quel rapporto di tensione in essere tra corpi nuovi e vecchi, legati tra loro da un filo rosso sangue.

Coerentemente con la corrente horror francese di questi anni, The Substance abbraccia il cinema du corps riprendendo le questioni già poste nell’esordio intitolato Revenge (qui la nostra recensione), portando in scena domande implicite alle quali lo spettatore sarà costretto a rispondere. Un film che viaggia ben lontano da ogni qualsiasi comfort zone, che prova ad empatizzare con le donne e contestualmente a mettere in discussione il ruolo dell’uomo nel mondo. Chi è quindi che sbaglia? Impossibile non essere manichei nelle risposte, al netto delle sfumature che questa seconda opera contiene.

In tal senso, c’è una sequenza verso la quale è impossibile rimanere inermi. Elizabeth accetta un appuntamento con un suo vecchio compagno di scuola che la trova bellissima. Inizia a prepararsi ma non riesce a piacersi in alcun modo. Si veste, si trucca, si fa e si disfa. In un gioco di specchi, Demi Moore offre probabilmente la sua miglior interpretazione della sua carriera da attrice, senza proferire mai parola ma lavorando solamente sulle espressioni, tra rabbia e tristezza, fino a culminare con una scelta registica da brividi.

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La Fargeat infatti, che usa sovente il fish eye proprio per deformare tutto ciò che inquadra, qui lo mette da parte, usando il pomello tondeggiante di una porta dove la Moore, di una bellezza straripante, si specchia e si vede per l’appunto deforme, come un primissimo piano fatto con un fish eye “naturale”. Un gioco di lenti e di controcampi che racchiudono il senso intrinseco del film, che restituisce il senso di inadeguatezza percepito da una donna che si vede sbagliata anche quando così non è.

Movie Substance

The Substance vive in una costante tensione di opposti, di minimalismo degli ambienti e di massimalismo nella costruzione e distruzione dei corpi, di primissimi piani e dettagli coadiuvati da un sonoro registrato in ASMR, che si alternano a campi lunghi abbelliti da un uso del fish eye, restituendo un inevitabile senso di claustrofobia. Tantissimi silenzi durante la prima parte, dove la meravigliosa regia di Coralie Fargeat esalta ancor di più la meravigliosa prova di Demi Moore, che ci auguriamo venga quantomeno candidata agli Oscar, e di rumori assordanti. Un’interpretazione meravigliosa e autentica per un tipo di cinema sempre più raro, un cinema sensoriale e viscerale dal quale è impossibile fuggire.

Sempre in piena coerenza con la New French Extremity, nelle sue due ore e venti di durata che per assurdo filano via fin troppo rapidamente, The Substance ci trascina dentro il mondo che viviamo e che non tutti vedono. Un mondo che richiede perfezione, che oggettifica e sessualizza, che consuma rapidamente e poi sputa via come un osso spolpato, dove tutto e tutti sono di rapido uso e dove l’alter ego è l’unica soluzione possibile per sopravvivere, anche se ciò porta inevitabilmente ad essere distrutto, a costringerti a strisciare verso la nostalgia di un qualcosa che non c’è più perché, per l’appunto, consumato e dimenticato.

Senza ma cadere in un moralismo d’accatto e di facile approvazione, The Substance ha la capacità di far riflettere attraverso un tipo di shock mai fine a sé stesso. Un film che propone moltissime scene dal forte impatto visivo, sulle quali sarà difficile tenere gli occhi puntati sullo schermo, ma che al tempo stesso sarà impossibile distogliere lo sguardo. Un film che ti cattura, ti fa entrare dentro lo schermo e dentro la storia, giocando anche con il corpo dello spettatore. Il finale grottesco che omaggia il cinema di Yuzna sarà una ciliegina insanguinata su una torta perfettamente costruita, dove il dramma che sta vivendo la protagonista potrà far sorridere, a tratti, ma poi costringerà chiunque a empatizzare con lei, fino a lasciare un inevitabile senso di tristezza. Come solo i grandi film sanno fare.

Cast

  • Elizabeth Sparkle: Demi Moore
  • Sue: Margaret Qualley
  • Harvey: Dennis Quaid

Trailer

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RECENSIONE
Voto
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Lorenzo Pietroletti
Classe '89, laureato al DAMS di Roma e con una passione per tutto ciò che riguardi cinema, letteratura, musica e filosofia che provo a mettere nero su bianco ogni volta che posso. Provo a rendere la critica cinematografica accessibile a tutti, anche al "lattaio dell'Ohio".
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