The Office Australia con una protagonista donna cambia tutto per non cambiare niente

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The Office Australia è un remake Amazon della serie americana (che è un remake di quella inglese) che poco o nulla aggiunge all’eredità del mockumentary comedy ideato da Ricky Gervais. Ecco la nostra impressione su questi primi otto episodi

Sì, è The Office, solo che siamo a Sydney, in Australia, e non negli Stati Uniti né in Gran Bretagna. Ma le premesse sono le stesse: c’è un ufficio con una capa donna, Hannah – l’equivalente di Michael Scott, tossica e cringe – e la sua sottoposta precisina e autorevole, Lizzie – una Dwight Schrute donna – più altri personaggi che corrispondono ai vari Jim, Pam, Toby, Angela, ecc..

Come nella serie originale e specialmente nel remake americano con Steve Carell e Rainn Wilson, l’interesse si ritrova specialmente nella coppia al vertice dell’ufficio, due personaggi chiaramente fuori dagli schemi e incapaci di gestire una realtà lavorativa umana, ma che sotto sotto ci provano con un buon cuore.

Ovviamente, per vedere come andrà – cioè se questi personaggi diventeranno “amabili” come nelle altre serie – bisognerà aspettare le eventuali prossime stagioni. Nel frattempo, questo The Office aussie poco può fare se non risultare come una copia carbone di quello che abbiamo già visto nelle versioni UK e US. Le gag sono nuove e diverse, ma è raro che facciano ridere.

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All’inizio la serie sembra una volta tanto affrontare un tema importante, ossia quella dell’ufficio come realtà al tramonto in favore dello smart working, nuovo orizzonte del lavoro più comodo e salutare per tutti. Ma la svolta viene presto smentita: altrimenti, come trarne una serie chiamata The Office se la gente lavora da casa?

Quindi, superata questa piccola e breve intuizione, eccoci sprofondati di nuovo tra gag che evitano accuratamente di essere politicamente scorrette e persino volgari o di natura sessuale, indirizzandosi più verso equivoci, incomprensioni e cattiva gestione aziendale. Tutte cose che potrebbero forse far ridere se fossimo nel 2004, ma (purtroppo, fatecelo dire) non siamo nel 2004.

Questo remake sembra in definitiva molto poco necessario: per quanto si tenti di aggiornarsi ai tempi e il cast si impegni davvero – specie l’interprete di Lizzie, Edith Poor, bravissima – dai primi otto episodi c’è davvero poco da trarre se non una comicità fin troppo trattenuta e composta per colpire davvero, senza temi sullo sfondo da affrontare e con una perenne sensazione di già visto.

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RECENSIONE
VOTO:
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Andrea Campana
Scrivo di musica, cultura, arte, spettacolo e cinema. Ho pubblicato su SentireAscoltare, OndaRock, Cinergie, Digressioni, Radio Càos, Rock and Metal in My Blood.
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