Ecco la nostra Recensione del nuovo lungometraggio di casa DreamWorks, Il Robot Selvaggio, in sala a partire dal 10 ottobre.
Ebbene sì: dopo Lilo & Stitch e Dragon Trainer, Chris Sanders è riuscito ancora una volta a realizzare un piccolo gioiello d’animazione a partire da un paio di underdog e da un legame affettivo tanto insolito quanto profondo. Il Robot Selvaggio, tratto dall’omonimo romanzo di Peter Brown, è un film che, un po’ come gli alieni di Space Jam, sembra rubare agli altri capolavori dell’animazione i loro aspetti migliori, reinventandoli e facendoli propri.
Il Robot Selvaggio, La Trama
ROZZOM 7134, per gli amici Roz, è un’assistente robotica che, a causa di un naufragio, si risveglia nel bel mezzo di un’isola popolata soltanto da animali. Nella disperata ricerca di un essere umano da assistere, il robot distrugge accidentalmente un nido di ochette riuscendo però a salvare un singolo uovo, dal quale si schiuderà un tenero pulcino chiamato Beccolustro. Il robot troverà finalmente una mansione alla quale adempiere: fare da madre al piccolo Beccolustro e prepararlo alla migrazione autunnale.
Il Robot Selvaggio, La Recensione
Ciò che traspare fin dai primi minuti di Il Robot Selvaggio è una visione cruda della natura che, per una volta, è davvero selvaggia e violenta: a partire dal rocambolesco inseguimento iniziale, lo spettatore viene travolto da uno stile in grado di coniugare il tradizionale tono da film d’animazione per tutta la famiglia a quello humor cinico e vagamente scorretto tipico dei Looney Tunes, per il quale non ci si sorprende mica a vedere un povero animale fatto a pezzi.
E in effetti, anche nel film di Chris Sanders la morte è costantemente dietro l’angolo al punto che sono gli stessi animali dell’isola a ironizzarci sù: «Perchè non ci ha ancora uccisi?» si chiederanno un paio di opossum di fronte alla spaventosa Roz. Sembra difficile da immaginare, eppure in questo stato di natura per niente romanticizzato ed entro il quale vige la legge del più forte, toccherà proprio ad una intelligenza artificialeil compito (l’ennesimo) di insegnare agli animali dell’isola, e anche agli spettatori, che cosa sia l’umanità.
Sarà per quel design che ricorda vagamente quello dei giganti di Laputa – Castello nel Cielo, o forse per quegli occhioni artificiali eppure colmi di umanità che sembrano usciti direttamente da Wall-E, ma non c’è davvero modo di restare indifferenti di fronte allo sguardo ingenuo di Roz, così cibernetico e allo stesso tempo così genuino. Dopotutto si tratta del solito corpo non ortodosso che è in grado di legare empaticamente con lo spettatore molto meglio di come farebbe un personaggio umano.