I Fratelli Menendez: una verità ancora senza certezze nel documentario Netflix | RECENSIONE

Menendez
Credits: Netflix
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Il documentario Netflix sui fratelli Menendez fornisce la loro testimonianza dal carcere e fa luce sul caso, ma non dà le risposte che si cercano da trentacinque anni

Il caso Menendez

Erik e Lyle Menendez intervengono sul loro caso e sulla vicenda dell’omicidio dei genitori, intervistati telefonicamente dal carcere nel 2023, in questo nuovo documentario che segue debitamente Monsters, la seconda stagione della serie di Ryan Murphy (la prima era Dahmer), incentrata proprio su di loro.

Il documentario è simile a molti altri prodotti true crime di Netflix: interviste ai protagonisti, documenti e testimonianze d’epoca, ricostruzioni e dibattito affidato agli intervistati. In questo caso anche i due fratelli, attualmente in prigione con l’ergastolo, che intervengono a corollario della narrazione.

La verità parziale

La quale, tuttavia, non fornisce più verità di quelle fornite dalla serie. I due continuano a sostenere la loro tesi ma il racconto sui famosi abusi che – secondo loro – li spinsero ad uccidere i genitori rimane vincolato ai filmati dell’epoca del primo processo, nel 1993, mentre Erik e Lyle si limitano a ricordare sentimenti, sensazioni e avvenimenti.

I documenti sono comunque eccezionali e chi ha già deciso da che parte stare avrà materiale per sostenere la sua posizione: la dicono lunga per esempio i commenti di Erik su come la polizia avrebbe, secondo lui, dovuto scoprirli immediatamente; o la sua lacrimevole e drammatica testimonianza al processo.

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Erik e Lyle Menendez nella serie Monsters

Accusa e difesa

Il punto, ricordiamo, non è se sono colpevoli o meno, dato che confessarono. Il punto sta nel movente in quanto attenuante della gravità del reato, cosa che decise la differenza tra la condanna a morte e il carcere a vita. Le tesi dell’accusa – il cui avvocato, Leslie Abramson, non testimonia in questo film – e quelle della difesa vengono ripresentate, intervistando anche vari giurati, testimoni e personaggi interessati.

Pamela Bozanich, avvocato dell’accusa nel primo processo, è la più decisa voce contro i due fratelli Menendez e denuncia anche la loro pretesa “riabilitazione” ad opera della Gen Z su TikTok, alla luce della riscoperta della questione degli abusi riletta alla luce del #MeToo e della nuova moderna sensibilità sul tema. La Bozanich non ha dubbi: “Perché non facciamo un sondaggio tra la gente, e non li facciamo uscire di prigione?” chiede, sarcastica.

Movente e delitto

Insomma ognuno dice la sua, e chi decise già all’epoca da che parte stare non cambia certo idea ora, dopo trent’anni e più. Tantomeno lo fanno Erik e Lyle, che insistono sulla tesi degli abusi – la quale, secondo la Bozanich, era completamente fabbricata – e si dicono sollevati di come la tematica sia stata sdoganata, da personaggi come Oprah, specie per quanto concerne gli abusi maschili.

Rimane l’unico fatto incontrovertibile: nessuno di noi conoscerà mai la verità, solo i due fratelli Menendez la conoscono. Ma, come dice anche una delle giurate, questo li rende o più grandi attori del mondo o le vittime di soprusi atroci e indescrivibili quasi, appunto, da film. Unico ragionamento che conta: quello che avrebbero subito giustificherebbe l’omicidio dei loro genitori o no? A voi la risposta.

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