Perché i videogiochi multiplayer online hanno (quasi) ucciso il gaming

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Bello gareggiare e mettersi alla prova, ma è bello anche ammirare e apprezzare i giochi in quanto forma d’arte, cosa che dà modo anche agli sviluppatori di dedicarsi a proposte originali, provocatorie e inaspettate. Diversi franchise, come God of War, Horizon, The Last of Us o Fallout, resistono ancora alla tentazione di trasformare le mappe dei loro titoli in gigantesche – e inutili – arene da combattimento.

Ma, così come avviene di pari passo per i contenuti cinematografici, seriali e musicali con le rispettive piattaforme, l’attenzione da parte dei videogiocatori alla qualità è sempre più bassa in favore di proposte immediate, divertenti, semplici e superficiali che soddisfino subito e non richiedano impegno da parte degli utenti e, quindi dei gamer.

Vero che spesso le possibilità sono ibride, ossia si può giocare in locale come in multiplayer, senza che le due modalità si intacchino a vicenda. Ed è vero che tante case videoludiche “giustificano” il ricorso all’online come mezzo per trovare fondi da destinare poi a nuovi single-player, un “male” necessario insomma.

Ma la via più semplice pare sempre anche quella in discesa, ed è difficile stabilire fino a che punto i grandi nomi del gaming preferiranno avere singoli pagamenti da singole persone per giochi mastodontici anziché piccoli pagamenti regolari e continuati da tutti in cambio di giochi molto meno costosi a realizzarsi. La prospettiva, in questo senso, non è buona.

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