Dramma della Gelosia (Tutti i Particolari in Cronaca) (Ettore Scola, 1970)
“Tutti i Particolari in Cronaca”, dice il sottotitolo. Ma proprio tutti. Inclusi quelli più grotteschi, più strampalati, atti a gettare su tutto il film – uno dei migliori di Ettore Scola – un’aurea satirica irresistibile, perfettamente in linea coi propri tempi (anche negli espliciti rimandi a un’attualità di contestazioni politiche), ma ancora oggi assolutamente spassosa.
Poi, un finale amaro come di rado nella commedia italiana anni ’70, di una tristezza sconfinata. E qui entra in campo Mastroianni, che del film è appunto la nota dolente, malinconica, contraltare perfetto dell’esuberanza divertita e divertente di Monica Vitti. Giannini, nella sua media pacatezza, sta idealmente (ma non solo!) nel mezzo dei due personaggi.
Sciupato, illuso, ridotto perfino a barbone, Mastroianni ci regala con “Dramma della gelosia” un’ennesima grandissima prova di versatilità attoriale, ben distante dal rigore conformista e benestante dei ruoli per i quali è generalmente più celebre (“La dolce vita”, “8 ½”, “Matrimonio all’italiana”, “Divorzio all’italiana”, ecc.).
Vincitore per la Migliore interpretazione maschile al Festival di Cannes, Mastroianni fornisce un’interpretazione a metà strada tra il realistico e l’istrionico, non lasciandoci per un istante col dubbio se parteggiare per lui o per il suo rivale in amore Giannini: siamo sempre stati, siamo e saremo sempre per Oreste Nardi, muratore romano pseudo-comunista specchio di quell’anima popolare e fieramente populista che pertiene al film. Commedie così il nostro cinema italiano avrebbe smesso di farle già dagli ultimi anni ’70.
A cura di Raffele Mussini
La Grande Abbuffata (Marco Ferreri, 1973)
Tra le interpretazioni di Mastroianni più celebri e al contempo più inconsuete spicca questo noto capolavoro di Ferreri, il suo film più famoso e il suo più grande successo commerciale. Mastroianni qui interpreta un pilota dell’Alitalia che, insieme ad altri tre amici, decide di chiudersi in una villa per mangiare fino a morire.
Donnaiolo e fanfarone, il suo personaggio è un vero motore trascinante, la più viva punta di commedia in uno scenario grottesco e degradante. Cosa dire ancora oggi di un film sul quale si sono versati fiumi di inchiostro? Nulla, se non stupirsi ad ogni ulteriore visione della sua audacia avanguardistica, del suo essere una trasversale celebrazione d’identità nazionale (nella centralità del cibo) nonostante lo squallore messo in scena.
Il Mastroianni più estremo (la scena dove stuzzica il sesso di una delle prostitute con il pistone della macchina in riparazione deve aver avuto all’epoca l’effetto di un terremoto), più “bistrattato”, più fuori dai propri schemi. Se Noiret, Tognazzi e Piccoli interpretano ruoli bene o male in linea con i personaggi che ne hanno esaltato i rispettivi caratteri nel corso della propria carriera, il Marcello (l’omonimia con il cast di protagonisti è uno dei tanti colpi di genio ne “La grande abbuffata”) di Mastroianni e in tutto e per tutto uno scomodo, provocatorio, memorabile outsider.
Ne I Soliti Ignoti, il capolavoro heist di Mario Monicelli riconosciuto a livello internazionale, Marcello interpreta un ruolo che va di pari passo con il carattere sgangherato della banda di ladri: quello di Tiberio, la cui moglie è in prigione per contrabbando di sigarette e che si ritrova con il figlio a carico.
Non è un personaggio malevolo, come gli altri coglie l’opportunità della rapina in progetto perché si presenta e perché i soldi farebbero comodo. Nella piena poetica del neo-realismo – anche se qui siamo anche in piena commedia all’italiana – la povertà dilaga e per campare ci sono due modi: lavorare, o imparare a farsi furbi.
Ma furbo alla fine Tiberio certo non si rivela, non più dei suoi degni comprimari: la rapina come è noto va a rotoli quando sbagliano la parete da abbattere per arrivare alla cassaforte, e poi una esplosione disastrosa corona il tutto, costringendo la banda a battere in ritirata con il loro sogno di ricchezze infranto.
La morale punisce chiaramente l’intenzione criminale ma i ladri vengono rappresentati come personaggi normali, uomini di ogni giorno che si arrabattano per tirare avanti. Tiberio, come persona qualunque con moglie e figlio e un mestiere, ne rappresenta l’esempio principe. Ed è infatti da loro che torna nel finale, sconfitto, alla grama vita di prima con la sua pochezza ed essenzialità.
A cura di Andrea Campana
Leo l’Ultimo (John Boorman, 1970)
Egli interpreta Leone, ultimo erede di una monarchia europea da tempo detronizzata; una volta tornato nella propria casa londinese, scopre che il quartiere è “decaduto” a causa dei suoi nuovi vicini. Annoiato dalle sue responsabilità e dalla vita borghese, egli sviluppa un particolare voyeurismo per una famiglia di colore, residente dall’altro lato della strada, e che lo spingerà a diventare il loro benefattore.
La performance di Mastroianni , purtroppo mai abbastanza citata, è perfetta nel dare un’immagine tanto divertente quanto satirica di un’ aristocrazia corrotta, totalmente incapace ad affrontare qualsiasi problema quotidiano nel modo concreto, e soprattutto perennemente disinteressata di ciò che accade fuori dal loro orticello. Il tutto è perfettamente inserito in un contesto crudo, degno di un ottimo cinema sociale, ma allo stesso tempo bizzarro, in certi momenti surreale, creato ad arte da Boorman. Un film, e un’interpretazione di Mastroianni, che deve essere riscoperto.
A cura di Carlo Rinaldi
Divorzio all’Italiana (Pietro Germi, 1961)
Atipico anche per lui il ruolo di Mastroianni in un altro grande classico della commedia all’italiana: Divorzio all’Italiana. Una storia, come frequente per il cinema nostrano di quegli anni, spiritosa ma anche grottesca, dolce e amara, della quale il nostro è protagonista e antagonista a un tempo nei panni del barone Ferdinando Cefalù.
La sua mira: far si che la moglie, che non sopporta più – attratto invece dall’amante sedicenne, che è pure sua cugina – lo tradisca in modo da poter far valere l’antica tradizione del delitto d’onore: uccidere la donna che mette le corna, assieme all’amante di lei, è previsto e possibile in Sicilia, e comporta solo una pena mite.
Ci addentriamo quindi nei piani rocamboleschi del barone per far sì che la moglie lo tradisca e potersi così liberare di lei; infatti, fino agli anni ’70 non si poteva ricorrere al divorzio – da cui il titolo, ossia un divorzio versione “nostrana” – se non per vie impervie e semi-illegali. Anche in questo caso, comunque, finisce “male”.
Le macabre intenzioni del barone sembrano coronate quando alla fine sposa la cuginetta, ma vediamo che nel finale lei è già pronta a tradire a sua volta. Mastroianni dà il volto all’uomo furbo che si crede capace di aggirare legge e morale, e che viene infine punito per la sua arroganza. La parte migliore: riesce a renderci questo delinquente persino simpatico!
A cura di Andrea Campana
La Dolce Vita (Federico Fellini, 1960)
Forse il film italiano più famoso di sempre, di certo la pietra miliare del cinema d’autore nostrano e al contempo l’apice – assieme a 8½ (vedi sopra) – di tutta la poetica di Federico Fellini, con i suoi mondi e i suoi personaggi così ordinari e così straordinari. Il film fu ai tempi della sua uscita un successo mondiale, consegnando un’immagine dell’Italia inedita, inaspettata e sfavillante.
Ma non è tutto rose e fiori il mondo del jet-set e dello spettacolo, di feste e bagordi, di eccessi e fama nel quale si aggira Marcello – il protagonista si chiama così: nel film Fellini fa avventurare il nostro tra luci e ombre, fornendo un’immagine a tratti pacchiana se non decadente di questa dolce vita, sottolineandone anche i tratti oscuri e inconsistenti.
Nel farlo, rende Marcello – perfetto uomo qualunque ma allo stesso tempo personaggio eccezionale, memorabile nella sua normalità – protagonista di storie e avventure imprevedibili nonché, come usuale nello stile del regista, oniriche e surreali, quasi dei sogni. Un universo appunto Felliniano che, per il tramite di Mastroianni, affascina e conquista il pubblico di tutto il mondo.
Per non parlare, ovviamente, dell’immortale scena della Fontana di Trevi che riassume un po’ tutto il film: quella in cui Anita Ekberg, entrando indolentemente nell’acqua, invita il protagonista con il famoso richiamo “Marcello! Come here!” E lui va, come potrebbe resistere? La scena per eccellenza che ha consegnato l’eredità di Marcello Mastroianni alla storia del cinema e dell’arte.