Mostro 2: la storia di Lyle e Erik Menendez | RECENSIONE

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Mostro 2, la narrazione e la verità: siamo sicuri di sapere a cosa credere?

Lyle e Erik: cosa fa un “mostro”?

La seconda stagione di Mostro (Monsters), la serie Netflix dedicata alla ricostruzione dei crimini compiuti da alcuni dei più efferati killer della storia, si sofferma stavolta sulla vicenda reale di Lyle e Erik Menendez, due giovani di buona famiglia che assassinarono i loro genitori nel 1989. Una storia terribile, che come sempre quando si parla di crimini a questo livello ha radici profonde.

Per parlarne compiutamente dobbiamo fare SPOILER, quindi prima finite di vedere i nove episodi della stagione e poi tornate qui. Come si diceva, la serie si sofferma sui due fratelli Lyle ed Erik Menendez, sui genitori e sull’omicidio compiuto dai due, a sangue freddo nel salotto di casa con due fucili, che ai tempi sconvolse l’opinione pubblica.

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Una storia di abusi

Lyle e Erik vengono presto arrestati, ma è lì che inizia davvero il racconto: nel tentare di difendersi svelano una allucinante storia di abusi che coinvolge il padre e in qualche modo anche la madre, e gli episodi successivi ci svelano come anche i genitori non siano estranei ad esperienze del genere.

L’abuso viene inizialmente trattato come argomento portante, che sia di natura psicologica, fisica o anche sessuale: viene estrinsecato come gli abusi si “tramandino” attraverso le generazioni come un cancro ereditario, e come subirli e farli subire possano essere due facce della stessa medaglia.

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La famiglia imperfetta

Parallelamente (siamo alla fine degli anni ’80) la serie prende di petto anche i tabù sull’omosessualità e sull’HIV, disegnando nel contempo un quadro familiare insano nel quale nessuno sembra davvero “felice”. Da quel che ci viene raccontato, il triste destino della famiglia – nonostante la loro immensa ricchezza, e non ci manca un commento sulle “gioie” del capitalismo – sembrava segnato fin dall’inizio.

Non solo: la disfunzionalità tra i Menendez pare talmente endemica e tanti e tali sono i loro disturbi e i loro comportamenti “malati” che l’omicidio e poi l’arresto dei fratelli sembra quasi solo uno di tanti capitoli di un romanzo horror grottesco. E non c’è cura: il dialogo non serve, gli psicologi non possono far nulla, gli avvocati hanno la loro propria agenda da seguire.

Nessuno si salva

In sostanza, il quadro è desolante per non dire nichilista. Vengono raccontate le storie di tutti, madre, padre e figli, e viene mostrato come tutti abbiano ragione – ossia, circostanze “attenuanti” e una storia lacrimevole alle spalle – e quindi tutti abbiano torto. Non ci sono buoni o cattivi, tutti sono colpevoli e tutti sono vittime.

Cosa trarne, se non un completo senso di sfiducia nell’umanità e certo nella già decadente istituzione familiare, difficile dirlo. Posto che aver subito abusi non autorizza ad infliggerli, né tantomeno ad uccidere, è difficile credere a una o più delle versioni fornite perché tanti e tali sono i lati oscuri messi in luce che risulta difficile credere come cose del genere non accadano in ogni singola famiglia.

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Colpo di scena

Ma è qui che la serie svolta, in un grande esercizio di narrazione: è tutto falso. O meglio: ci viene dato a intendere che Lyle e Erik si sono inventati tutto nel tentativo di giustificare il loro brutale gesto, e con il supporto di una avvocata senza scrupoli e limiti morali, cercando di far passare i genitori per “cattivi”.

Il punto è che la serie ci prende in giro, mostrandoci sequenze – per esempio le “avventure greco-romane” di Menendez senior – che sostengono la narrativa dell’abuso ma che costituiscono vicende che i due fratelli non possono conoscere. La sfida è quindi la stessa di un’altra grande opera del 2024, cioè Civil War di Alex Garland: io ti mostro qualcosa, ma sei sicuro che sto dicendo la verità?

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Il racconto e la morale

Infatti gli ultimi episodi ribaltano le aspettative, mostrandoci la natura menzognera della tesi della difesa che presto crolla in credibilità anche presso l’opinione pubblica. I due fratelli se la cavano con l’ergastolo ma il dubbio sulla questione degli abusi rimane fino alla fine, per quanto ovviamente, come dicevamo, non giustifichi l’omicidio in nessun modo.

Su questo Mostro 2 ha il pregio di prendere posizione: l’assassinio è sbagliato e va punito, e nessuna infanzia traumatica o passato difficile lo può giustificare. Ecco perché si toccano anche la storia di Dominique Dunne, assassinata a 22 da un uomo che poi s’è fatto solo tre anni e mezzo di prigione, e quella di O.J. Simpson, sulla quale sappiamo quel che c’è da sapere.

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Una serie importante

Con tutto questo, anche la seconda stagione di Mostro funziona egregiamente in ogni aspetto, specie con un clamoroso Javier Bardem nella parte del patriarca José Menendez. Ragguardevole in particolare l’episodio 5, un episodio “bottiglia”, in cui Cooper Koch (Erik) e Ari Graynor (l’avvocata Leslie Abramson) parlano da soli in una stanza per 30 minuti mentre un lentissimo zoom ingrandisce su di lui: una prova attoriale eccezionale, per entrambi.

I due fratelli, Lyle e Erik, sono interpretati magistralmente e con mille sfumature da Nicholas Alexander Chavez e Cooper Koch, e inseriti in una cornice sfaccettata che racconta tutta la complessità della storia e la sfuggevole natura della loro verità con una regia furba, che pone allo spettatore domande provocatorie. Tra cui: se un assassino fosse abbastanza carismatico, saprebbe convincervi che è innocente?

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