Sophia Loren: i migliori film di un’attrice leggendaria

Sophia Loren da oltre settant'anni sulle scene, vediamo i film più rappresentativi dell'attrice

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Icona del cinema italiano, interprete di rara potenza, donna bellissima, Sophia Loren è da diversi decenni un punto di riferimento del cinema

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Sophia Loren il 20 settembre compie 90 anni.

Eh sì: non sembra, perché prima di tutto le stelle non hanno età, e perché per lei il tempo sembra essersi fermato. Perché quando si entra nell’immaginario collettivo, l’immagine si cristallizza e ognuno avrà per sempre davanti ai propri occhi un fotogramma, una sequenza, un personaggio immune al trascorrere del tempo.

Sophia Loren ha saputo portare l’Italia in alto nei cuori e negli occhi degli spettatori di tutto il mondo, ispirando grandi autori e firmando con il suo sguardo capolavori assoluti: ed è nei cuori di molti per il suo urlo, così liberatorio, così emozionato, così italiano, al  Dolby Theatre di Los Angeles nel 1990: “Roberto!

Anni ’50: Totò Tarzan e Pane, Amore e…

La ragazza di Pozzuoli vince il concorso Miss Eleganza, diventa protagonista di diversi fotoromanzi, e ancora con il nome di Sofia Lazzaro -altrove sarà Scicolone- partecipa al Totò Tarzan (1950) di Mario Mattioli. È semplicemente una comparsa, fa la totò-tarzanista, ma il pubblico si ricorderà di lei come lei si ricorderà del suo primo incontro con il principe De Curtis, dicendo: “Della Napoli dorata è proprio lui, il principe Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio. Lo avevo già inseguito tante volte sul set, fin dal mio arrivo a Cinecittà, nel 1950. L’avevo osservato, timida e adorante, dal basso delle mie piccole parti e dei miei pochi anni, mentre da comparsa facevo una delle «Sei mogli di Barbablù» o una ragazza di «Tototarzan». Prima ancora – ero davvero poco più di una bambina, senza lavoro e senza una lira – ero andata alla Scalera, dove il Principe stava lavorando. Mi ero introdotta in sala piano piano e uno della produzione, forse commosso dalla mia giovinezza, mi aveva fatto sedere. Totò, adocchiandomi, aveva chiesto ai suoi: «Chi è quella piccerella?».”

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È sempre di Mattioli, ma del 1954, Miseria e Nobiltà, uno dei capolavori di Totò, tratto dall’omonima opera teatrale di Eduardo Scarpetta. La trasposizione -è la seconda, la prima aveva avuto un altro adattamento nel 1914 ad opera proprio di Scarpetta- ha una visione più fresca e leggera della commedia originale, ed è un trampolino di lancio per la Loren che da lì in poi splenderà sempre di più.

Il 1954 è un anno cruciale, perché Blasetti prima e De Sica poi la vogliono nei loro film, in un percorso che si corona con Pane Amore e… del 1955, di Dino Risi. È in questo film che si fissa nell’immaginario degli italiani, probabilmente perché prende il posto (narrativamente, tecnicamente e ideologicamente) di Gina Lollobrigida nelle trame del trittico: il ruolo è cucito su misura per lei, ma tutti il film è un’operetta confezionata con cura che non inventa niente di nuovo ma plasma un immaginario su visioni preesistenti, variando la materia un po’ scontata con ingegnosa abilità, poggiandosi soprattutto sull’alchimia dei due protagonisti -la Loren con Vittorio De Sica- e poi sulla prorompente vitalità dell’attrice.

Pane Amore e… è uno dei primissimi film a fare uso del formato Cinemascope, e complice un colore brillante la Loren, più esuberante e meno “paesana” della Lollo, disegna personalmente la sua pescivendola Sofia Cocozza detta La Smargiassa, ammaliando il pubblico di ieri come di oggi co la sua sensuale e prorompente leggerezza che la pone un gradino sopra tutti.

Il suo mambo italiano è forse uno dei momenti più iconici del cinema di commedia italiano degli anni ’50: con meno di due minuti di girato, la scena porta una freschezza sullo schermo che non sembra prosciugarsi fino ad oggi, visto che anche Netflix, parlando della famosa sequenza, dice: “la cosa più italiana che si sia mai vista per ambientazione, canzone e protagonisti scelti

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Anni ‘60: La Ciociara e La Contessa di Hong Kong

Lo sanno tutti che il cinema è fatto -anche- di coincidenze e treni persi per un attimo: se Anna Magnani nel 1960 non si fosse sentita troppo matura per il film di De Sica (anche se il regista doveva essere addirittura George Cukor…), probabilmente La Ciociara non avrebbe avuto l’impatto che ha avuto sul cinema italiano, e di sicuro la carriera di Sophia Loren non sarebbe stata la stessa. Insieme, Vittorio De Sica (regista) e Cesare Zavattini (sceneggiatore) prendono il romanzo di Alberto Moravia e seguono due tracce narrative e stilistiche, partendo proprio dal corpo della ciociara, madre fortemente legata alla figlia, campagnola procace, desiderata ed energica e continuando con la traccia stilistica nel neorealismo con un’ambientazione tra persone semplici sotto i fascisti al tramonto.

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La Loren stava proprio all’incrocio dei due percorsi: con la sua fisicità prorompente ha dato vita ad una degli snodi narrativi più scioccanti di sempre, e probabilmente solo lei avrebbe potuto incarnare sensualità e malinconia, caparbietà e disperazione, nello stesso modo, accarezzando il melodramma enfatico ma anche assecondando l’occhio del regista he insegue la bruttura imperitura della guerra che tutto insudicia. Non per niente, quell’anno l’Oscar come miglior attrice andò alla Loren.

Ormai vera e propria diva, Sophia attraversa l’oceano: a rubarla all’Italia fu per primo Jean Negulesco per Il Ragazzo sul Delfino nel 1957, ma a consacrarla star internazionale sarà Charlie Chaplin con La Contessa di Hong Kong (A Countess from Hong Kong), che nel 1967 la vide insieme a Marlon Brando.

Ed è proprio sul personaggio femminile che si misura quell’anticonformismo chapliniano che fa innamorare il ricco e conservatore Ogden della misteriosa donna russa. Diventa questo l’assunto portante del film, nel quale anche in questo caso trova nella Loren un corpo attoreo perfetto, nel quale il contenitore combacia con il contenuto grazie a quella bellezza conturbante e a quegli occhi vertiginosi.