Ingiustamente vittima del flop del botteghino, Johnny il Bello, oltre ad essere tra i migliori titoli di Walter Hill, sembra quasi preannunciare il decadimento della carriera e la tumefazioni del volto di Mickey Rourke causate dal suo ritorno alla carriera pugilistica.
La sinossi parla del criminale in carriera John Sedley, chiamato anche Johnny il Bello, affetto da gravi malformazioni al volto sin dalla nascita. Dopo essere stato arrestato a causa del fallimento di un colpo, viene rilasciato sulla parola dopo aver partecipato a un programma medico, le cui operazioni chirurgiche daranno a Johnny un volto nuovo. Johnny dovrà scegliere se iniziare una nuova vita o vendicarsi dell’uomo che ha tradito e ucciso il suo socio durante il colpo.
Ottenuta la parte a causa all’addio di Al Pacino, Mickey Rourke porta in scena un personaggio dolente e sfaccettato, incapace di andare avanti e di rifarsi una vita in un mondo che lo ha sempre rifiutato ed etichettato come criminale per via dei suoi precedenti e del suo aspetto. Non importa quanto profondi e radicali possano essere il cambiamento di aspetto o nuove amicizie ed amori, perchè i difetti “congeniti” possono essere cancellati su un volto, ma mai dall’animo delle persone.
Un vero manuale di come si interpreta un antieroe sconfitto e, perchè no, anche romantico.
Ore Disperate ( Micheal Cimino, 1990)
Nella lista non poteva mancare un remake. Nella terza ed ultima collaborazione con Micheal Cimino, Rourke interpreta il ruolo che fu di HumphreyBogart nell’omonimo film del 1955, diretto da William Wyler, ossia quello di Michael Bosworth, un criminale evaso il quale fa irruzione, insieme a due complici, nella casa della famiglia Cornell (interpretati da Anthony Hopkins e Mimi Rogers) prendendoli in ostaggio nell’attesa che lo raggiunga la propria fidanzata/complice Nancy Breyers (Kelly Lynch).
Al netto di alcune scelte di sceneggiatura che potrebbero far storcere il naso agli spettatori più puntigliosi, il film merita la visione per la grande interpretazione di Rourke, di cui Cimino sfrutta rabbia e istrionismo per denunciare le storture della borghesia americana tanto odiata dal predetto regista. Bosworth si sente una scheggia impazzita ed incapace di vivere in un mondo americano anestetizzato e bugiardo, proiettando di fatto quella che è sempre stata la visione che Cimino ha avuto di se stesso, sia come uomo che come regista in un contesto che non lo ha mai compreso.
Molto interessanti e maestosi i pochi squarci in esterno nella natura selvaggia dove Cimino sfoggia il solito talento visivo ed anche le interpretazioni del cast di contorno. Disponibile su prime video, non possiamo non consigliarvelo.
Sin City (Robert Rodriguez & Frank Miller, 2005)
Dopo anni di cadute personali, progetti fallimentari e una carriera pugilistica che ha distrutto il fascino del volto, Sin City rappresenta la prima vera rinascita artistica di Rourke. Nel mondo creato da Frank Miller e della sua città del peccato, popolata da personaggi bramosi di vendetta e perdizione, come anche da altri di riscatto e salvezza, egli interpreta Marv, il quale è, con buona probabilità , il miglior personaggio uscito dalla china di Frank Miller. Diviso in quattro storie, Marv è il protagonista della terza storia, avente come fulcro la vendetta di quest’ultimo per la morte di Goldie (Jaimie King), una prostituta uccisa la notte stessa in cui avevano fatto l’amore.
Inizialmente pensato per Ron Perlman, il personaggio viene portato in scena con una presenza scenica inimitabile da Rourke, vendicatore tanto spietato quanto dal cuore d’oro, che conduce lo spettatore verso un viaggio intriso di sangue e vendetta ma al contempo ad essere partecipi di uno splendido cammino di redenzione.
Il tutto perfettamente sintonizzato dall’umorismo perverso del fumettista americano della guest star director Quentin Tarantino, e dall’adattamento action e green screen di Robert Rodriguez. Un cult assoluto, prova di come alcuni cinecomics siano invecchiati bene a distanza di 20 anni e di come abbiano segnato profondamente l’immaginario del grande pubblico.
The Wrestler ( Darren Aronofsky, 2008)
Nel corso degli anni abbiamo visto attori interpretare ruoli che, oltre ad essere indelebilmente impressi nell’immaginario collettivo per la mera bravura recitativa, hanno saputo sintetizzare perfettamente il percorso di rinascita, sia personale che professionale, di chi li ha portati in messi in scena.
Uno di questi ruoli, premiato da una candidatura agli Oscar come miglior attore protagonista andato poi a Sean Penn per Milk, li ha sicuramente coniati Mickey Rourke nel ruolo del lottatore professionista Randy ” The Ram” Robinson, in lotta perenne contro i suoi demoni personali e problemi fisici causati dalla sua professione di wrestler.
La regia di Darren Aronofsky, regista specializzato nella narrazione di personaggi problematici e spezzati nella mente e/o nel corpo (Il cigno nero, The Whale) immortala Rourke mentre portare un riflesso speculare, tanto massiccio quanto martoriato dai combattimenti sul ring e dalle conseguenze da essi derivanti, di se stesso e del suo percorso di eroe caduto e fallace alla ricerca di relazioni durature, in grado di allontanare il protagonista da un viaggio di sola andata verso una fine autodistruttiva.
Compendio e vetta assoluta di una carriera (tanto da valergli una prestigiosa candidatura all’Oscar al Miglior Attore Protagonista), il brillante ruolo del lottatore Randy “The Ram” Robinson è un riflesso speculare del suo interprete, massiccio ma dolente, che aspira alla redenzione salvo poi precipitare nell’oblio del fallimento.
Insignito del Leone d’Oro a Venezia, The Wrestler è una storia di quelle che spezzano il cuore, dall’atmosfera unica per impatto emotivo, che non avrebbe potuto avere miglior interprete di Mickey Rourke.
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