Perfetto nell’incarnare iconiche figure antieroiche, furenti e dannate, Rourke vanta un curriculum attoriale talmente notevole da non essere mai stato scalfito dalle profonde cadute di stile e dal decadimento fisico causato da una vita senza regole. In occasione dei suoi 72 anni, abbiamo pensato di omaggiarlo con un riepilogo dei suoi ruoli più iconici e, soprattutto, più idonei nel mostrare come il binomio caduta/rinascita- l’ordine può anche essere invertito- abbia accomunato anche i suoi ruoli sul grande schermo, oltre che la vita vera.
ATTENZIONE: Non è una classifica. Si segue l’ordine cronologico.
L’ anno del Dragone (Micheal Cimino, 1985)
Dopo aver ottenuto il primo grande successo di critica in Il papa del Greenwich Village di Stuart Rosenberg, Mickey Rourke regala al grande pubblico il suo primo capolavoro recitativo grazie alla superba interpretazione di Stanley White, razzista e ruvido poliziotto reduce del Vietnam, in L’anno del dragone di Micheal Cimino ( regista di Il cacciatore, alla sua seconda, e non ultima, collaborazione con Rourke dopo).
La storia si svolge nel cuore della Chinatown newyorkese ed ha come fulcro principale la lotta senza quartiere del capitano White alla Triade cinese ed al padrino Joey Tai (John Lone), giovane gangster la cui ambizione è pari solo alla sua spietatezza. Nel corso delle indagini White diventerà sempre più disposto a violare il protocollo della polizia, ricorrendo a misure sempre più violente, e più incurante delle conseguenze, per lui e di chi lo circonda, delle sue azioni.
Sostenuto dalla regia maestosa di Cimino e dalla scrittura di Oliver Stone, capace di dare sostanza e sfumature ad ogni singolo personaggio, Mickey Rourke porta sullo schermo in modo tanto sublime quanto potente i tormenti del capitano White, incapace di lasciarsi alle spalle gli spettri del Vietnam e le conflittualità che ne derivano, le quali si manifestano tanto nelle strade di una Chinatown non tanto diversa dalla Saigon de Il Cacciatore, ove non vi è vita ma solo sopravvivenza.
Tali inquietudini sono perfettamente trasmesse da Rourke anche nei momenti più intimi ed umani con la moglie Connie (Caroline Kava), che cerca disperatamente, e senza successo, di tenere in piedi la loro convivenza ed anche con l’alleata/amante reporter Tracy Tzu (Ariane), fondamentale per sgretolare le fondamenta della mentalità razzista, ed anche misogina, del protagonista. Un autentico capolavoro e tra i migliori film noir/polizieschi degli ultimi 40 anni.
9 settimane e mezzo (Adrian Lyne, 1986)
Come svariati successi degli anni’80 (Flashdance, Top Gun, Dirty Dancing etc.) 9 settimane e mezzo di Adrian Lyne, regista britannico di formazione pubblicitaria e specializzato in thriller erotici, ha incontrato il grande favore del pubblico e la contemporanea stroncatura della critica.
Il soggetto, tratto dall’omonimo romanzo di Elisabeth McNeill, tratta della relazione disfunzionale tra Elisabeth McGraw (Kim Basinger), proprietaria di una galleria d’arte, e l’affascinante broker John Gray (MickeyRourke) non ha raccolto i favori della critica, andando invece a consolidare la propria popolarità presso il grande pubblico.
Chi vede in 9 settimane e mezzo una sorta di cinquanta sfumature meglio scritto ma ugualmente ruffiano e superficiale non potrebbe commettere un errore più grande. Esso rappresenta un perfetto manifesto di un cinema e di una Nazione invincibile e dominante ma ugualmente disorientata e repressa. Sia dal punto di vista dei sentimenti che di pulsioni.
John ed Elizabeth rappresentano due anime dilaniate, che cercano di colmare il vuoto dell’insoddisfazione attraverso il sesso, qui svuotato di ogni carica affettiva, e la perversione per scopi diversi: l’uomo ha il costante bisogno di soddisfare le sue fantasie, portandole sempre ad un livello più alto per avere l’illusione del controllo e per celare la propria insicurezza sentimentale, la donna borghese insegue l’illusione di sentirsi amata, arrivando addirittura ad annullare se stessa e la sua finta indipendenza, per arrivare alla presa di coscienza definitiva che culminerà in un finale, per lei, tanto simbolico quanto meraviglioso. Più che la vittoria dell’edonismo, esso rappresenta ne rappresenta il vero funerale.
Un film da rivedere sotto la giusta luce e per gustarsi la prova di un grande Rourke e di una splendida ed iconica Kim Basinger.
Angel Heart ( Alan Parker, 1987)
Protagonista di uno dei neo-noir più sottovalutati degli ultimi 40 anni, Mickey Rourke interpreta Harold “Harry” Angel, sudicio detective privato ingaggiato da Louis Cyphre (Robert De Niro), per rintracciare Johnny Favorite, cantante misteriosamente scomparso, e recuperare il suo credito.
Ambientato nel profondo sud degli States, il film diretto da Alan Parker (Fuga di mezzanotte, Mississippi Burning) si lascia ricordare per le atmosfere sinistre e trucide, perfettamente idonee a delineare la miscela di generi presenti (noir, melodramma, thriller, horror) nella pellicola, per il mefistofelico Robert De Niro e, soprattutto, per la prova di Mickey Rourke, il quale si decide di distruggere l’affascinante figura di John Gray per sprofondare in un vortice di sangue e follia, che mostrerà la verità ai suoi occhi dopo aver visto la sua vita andare in pezzi.