The Brutalist, la recensione del film di Brady Corbet

The Brutalist è il nuovo film in concorso all'81esima edizione del Festival del Cinema di Venezia. Brady Corbet vola insieme al suo László Tóth e Adrien Brody verso il Leone d'oro. Una maratona di 215 minuti in cui nessuno lascia la sala.

The Brutalist, copertina
The Brutalist, copertina
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“The Brutalist” è il riflesso di un regista strutturato, che gioca a carte completamente scoperte sia del cuore che dell’anima. Un inno alla complessità della perfezione, un Adrien Brody da Oscar. Qui la nostra recensione.

The Brutalist, La Trama

Stati Uniti, 1947. László Tóth, un architetto ebreo di successo (Adrien Brody) emigra dall’Ungheria per cancellare il marchio delle barbarie naziste impresso sulla pelle e nei propri ricordi. In una condizione di assoluta povertà e perdita della propria identità, ricomincia tutto da capo grazie a un incontro che cambierà, nel bene e nel male, la sua vita per sempre, sulla scia del sogno americano. Ma a che prezzo?

The Brutalist, La Recensione

Non è sicuramente “uno dei film che si possono fare a Hollywood” quello di Brady Corbet, The Brutalist, in concorso all’81esimo festival di Venezia e probabile candidato al Leone d’oro. Non è un film accomodante ma faticoso, articolato, frastagliato come la mano registica di Corbet carica di simbolismi, metafore, eccessi e talvolta ridondanze. Ma è un film necessario che nasce dall’urgenza, come sottolineato anche in conferenza stampa dagli autori, di raccontare qualcosa. Come l’architetto di sua invenzione László Tóth, il regista torna sulle scene sei anni dopo Vox Lux insieme a Adrien Brody e lo fa all-in, scoprendo tutte le carte dell’anima.

Non a caso Corbet afferma commosso di averci messo una decina d’anni per elaborare una pellicola di questa portata, girata meravigliosamente in 70mm per tre ore e quaranta di durata, tempo altrettanto fondamentale per comprendere nel profondo la malattia e il trauma che ha caratterizzato il ventesimo secolo. Un film anti-americano nelle ossa, che si apre con un piano sequenza decisamente epifanico: László si fa faticosamente strada tra la folla di immigrati, uscendo dall’oscurità e dal caos multiculturale per approdare nella “terra promessa” e illuminata, l’America. La rappresentazione rovesciata della Statua della Libertà sarà per l’architetto ebreo l’emblema di un incubo, quello di una persecuzione destinata a non finire.

The Brutalist, - Adrien Brody e Alessandro Nivola
The Brutalist, – Adrien Brody e Alessandro Nivola

Adrien Brody da Oscar

Un Adrien Brody straordinario sembra chiudere il cerchio de Il Pianista, proiettandosi direttamente verso gli Academy Awards. Il suo László è un artista inevitabilmente segnato dalle ferite del tempo, a cui è stata sottratta l’identità umana e professionale. La sua formazione, avvenuta con la Bauhaus, sembra spingerlo verso la spasmodica ricerca di qualcosa che rimanga alle nuove generazioni. Non si tratta semplicemente di fare un’opera, ma di attribuirle un senso politico e sociale, qualcosa che resista alla storia e al tempo. Una sorta di missione per chi si è visto tradire e umiliare da una società totalmente chiusa nei confronti di ciò che è diverso e estraneo.

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Lo stesso Adrien in conferenza stampa sottolinea come l’esperienza personale lo abbia inevitabilmente ispirato nella realizzazione del suo personaggio. Sua madre, Sylvia Plachy, celebre fotografa di New York, è un’immigrata arrivata in America nel ’56 per sfuggire alle barbarie della rivoluzione ungherese. L’attore ha avvertito tutto il peso di tale evento sulla vita della famiglia e dell’artista e come questo abbia successivamente influenzato creativamente il suo lavoro.

The Brutalist, - Adrien Brody e Isaach de Bankolé
The Brutalist, – Adrien Brody e Isaach de Bankolé

Il capitalismo, la rivoluzione americana al contrario, la liberazione dal nazionalsocialismo

Perdere tutto, per tornare al principio: la chiave interpretativa del personaggio di László, fedele all’etica e alla moralità del proprio lavoro, atto politico e rivoluzionario nello sfarzo dell’era capitalista. D’altronde il concetto è già nel nome: “The Brutalist”, non solo intesa come la corrente architettonica a cui fa riferimento, ma come “brutalità” di una società consumistica che apparentemente accoglie per poi risucchiarti corpo e anima.

E così, per sfuggire all’orrore dei ricordi e dei campi di sterminio, László  si anestetizza tra l’oppio e la rigorosità della propria visione, ritrovandosi imprigionato nell’american dream ( perfettamente incarnato dal mecenate interpretato da Guy Pearce). L’ America che distrugge e non gratifica, che omologa e che divide in classi. La “rivoluzione americana al contrario” che libera per imprigionare, che vuole possedere e piegare chi invece cerca di resistere.

La scena dello stupro del ricco possidente Harrison Lee Van Bure nei confronti di László è la cruda rappresentazione di un benefattore moralista e arrogante in cui si aggrovigliano angeli e demoni, il male che si presenta con il sorriso sul volto. “Se vivi come una sanguisuga sociale, come puoi aspettarti di diritto qualcosa di diverso?” Sarà la domanda che il magnate rivolgerà al celebre architetto nell’atto perpetrato di violenza. La cultura del diverso non è accettabile, la bellezza non è possibile. Tornare ad essere qualcuno, ad esistere, solo alla condizione che qualcuno ti ricordi costantemente chi sei e quale sia il tuo posto nel mondo.

The Brutalist, - Adrien Brody e Felicity Jones
The Brutalist, – Adrien Brody e Felicity Jones

Il viaggio e la destinazione: ricordare per conoscere

E mentre ciò che è brutto e anaffettivo scava sottopelle, agli occhi è destinato il bello, la grandezza di uno stile architettonico che respira il passato per rivolgersi al futuro. Le opere semplicemente “sono”: l’ambizione, l’ostinazione e la sofferenza, come sottolineato da Brody, sono in grado di creare qualcosa che non può essere cancellato. Questo è il senso del viaggio, l’importanza della destinazione.

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“Le grandi storie d’amore arrivano sempre con un senso di grande urgenza” sottolinea la protagonista femminile, Felicity Jones, nel film moglie determinata e determinante di László Tóth. L’urgenza di raccontare non solo una storia d’amore straziante tra le rovine, ma anche la storia d’amore con sé stessi e la propria passione, e di come questa possa influenzare l’esperienza degli altri.

Un’opera cinematografica che trae ispirazione dall’ Architecture in Uniform: Designing and Building for the Second World War di Jean-Louis Cohen e che è dedicata a tutti quei grandi artisti che non hanno avuto l’opportunità di realizzare la propria visione. “Quando si inizia a scrivere tutto diventa finzione” – afferma Corbet – ma è l’unico modo che abbiamo di accedere al passato, e che sa incredibilmente di reale.

Il lungometraggio più riuscito di un regista indubbiamente complesso, che non accetta compromessi, proprio come il suo László immaginario. “Non perdere il momento, che poi i sogni volano via” gli stessi che il nostro protagonista terrà stretto fino all’ultimo atto – quello della mostra alla Biennale del 1980 – di un’opera straordinaria.

The Brutalist, Il Cast

  • Adrien Brody: László Tóth
  • Felicity Jones: Erzsébet Tóth
  • Guy Pearce: Harrison Lee Van Buren
  • Joe Alwyn: Harry Lee Van Buren
  • Raffey Cassidy: Zsófia Tóth
  • Stacy Martin: Maggie Lee Van Buren
  • Emma Laird: Audrey Miller
  • Isaach de Bankolé: Gordon
  • Alessandro Nivola: Attila Molnár
  • Michael Epp: James T. Simpson
  • Jonathan Hyde: Leslie
  • Peter Polycarpou: Michael Hoffman
  • Maria Sand: Michelle Hoffman
  • Salvatore Sansone: Orazio
  • Ariane Labed: Zsófia da adulta

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