da tanto attesa, finalmente Kaos arriva su Netflix. L’attesissima serie con Jeff Goldblum nel ruolo di Zeus è stata accolta con recensioni perlopiù incredibilmente positive, ma senza qualche outlier più critico.
Cercheremo di analizzare questa serie, mettendo in rilievo i lati positivi e negativi per arrivare alla nostra, personalissima, conclusione.
Kaos: la trama
In un presente alternativo, le divinità greche esistono davvero ed esercitano la loro influenza sul mondo degli umani. Ma un giorno, guardandosi allo specchio, Zeus si accorge di una ruga in più, qualcosa che per un immortale non dovrebbe essere possibile. Saranno le sue azioni a dare il via a una serie di eventi che cambierà il mondo, mortale e mortale.
Kaos: la recensione
La prima cosa da lodare in questa serie è il cast. Ogni singolo membro del cast semplicemente funziona. Questo non vuol dire che ogni personaggio sia eccellente o interpretato magistralmente ma, anche nel peggiore dei casi, fanno quello che devono fare senza sbavuture.
Jeff Goldblum non è una sorpresa, ma va comunque elogiata la sua eccezionale capacità di come riesca a portare in maniera credibile la caduta di Zeus nella follia, la sua crescente paranoia, la sua crudeltà, un costante crescendo che prosegue fino all’inevitabile finale senza mai snaturare il personaggio. Ogni passaggio, ogni caduta è coerente con come il personaggio viene introdotto.
Nabhaan Rizwan (Station Eleven) interpreta Dionisio, a metà tra l’umano e il divino, che cerca di capire cosa voglia essere, cosa voglia diventare. Il suo finale è quello più triste, pur essendo prevedibile fin dall’inizio. Necessario spoiler qui: se avete animali domestici e/o amate gli animali, è il più difficile da guardare e mandare giù.
Dove la situazione si perde è con il personaggio di Arianna (Ari), non tanto per colpa dell’attrice ma del materiale. A Sam Buttery nel ruolo di Atropos immagino sia stato detto di imitare Varys in Game of Thrones e amen.
Anche se ho citato tre nomi, la storia ruota intorno a ben 8 personaggi principali, ognuno accompagnato dal suo cast di comprimari in quelle che sono principalmente quattro linee narrative: Orfeo, l’Olimpo, L’oltretomba, Creta.
Piccola parentesi: interessante che l’oltretomba sia in bianco e nero. E’ una scelta intelligente che ha perfettamente senso nel contesto della storia. Poiché non possiamo percepire le sensazioni attutite dei defunti (incapaci di percepire qualunque sensazione fisica quale gusto,olfatto,ecc…) vediamo tutto in bianco e nero. Brillante.
Ogni linea narrativa è collegata alla trama principale di Kaos ma, andando avanti, la stanchezza inizia a sentirsi. Particolarmente ostile è la narrativa di Creta, che dopo due puntate arriva a uno stop repentino, per poi muoversi con estrema lentezza e riprendersi nel finale. Discorso simile per la narrativa dell’Oltretomba: scoperto il mistero i personaggi rimangono fermi fino a che la linea narrativa “Orfeo” non s’incrocia con lei.
Non è un caso se, nelle prime puntate, le varie linee narrative sono più focalizzate, a costo di escludere le altre dalla puntata. Questo consente di muoversi alla giusta velocità, in tranquillità.
Ma quando la narrativa si mischia, e noi ci troviamo davanti una ventina di personaggi ad episodio, ogni filone narrativo prosegue con la sua velocità, che potrebbe essere radicalmente diversa dalle altre.
Succede quindi che, da un certo punto, abbiamo metà episodio con un ritmo incalzante e metà episodio praticamente immobile.
Kaos ha quindi due episodi eccellenti, tre episodi oscillanti tra il buono e il discreto, e tre episodi in cui metà va vista a velocità doppia.
Il risultato è che questa serie ha problemi di pacing non indifferenti, il che è un problema perché Kaos si presta agilmente al binge watching ed anzi è una serie che beneficia di questo particolare format. Ma quando la serie rallenta, rallenta male.
Parliamo ora della mitologia. Diciamo che Kaos sta alla mitologia greca come gli Anelli del Potere sta a Tolkien. Nel senso che i nomi sono stati presi in prestito, così come il generale contesto ma se c’è qualcosa che non si coordina bene con le idee dietro, viene modificata senza alcun rispetto per la storia originale e per il personaggio. Insomma, si tratta di Netflix: sapete cosa aspettarvi e non serve che vi dica altro.
Chi ha un minimo di familiarità con la mitologia greca sa che il modo più sicuro per realizzare una profezia è fare di tutto perché questa non si realizzi. Praticamente più ti impegni per evitarla, più il suo esito è garantito.
Ovviamente questo viene detto quasi verbatim nell’ultima puntata, ma uno spettatore più attento ha già raggiunto le conclusioni a cui i personaggi sono arrivati, a volte con fatica giustificata solo da esigenze di trama.
Kaos ha ottimi dialoghi e riesce a ottenere il massimo dai suoi personaggi. Si presenta con un solido worldbuilding che viene sviluppato con naturalezza senza sembrare troppo espositivo, riuscendo ad evitare quei dialoghi in cui i personaggi parlano a beneficio dello spettatore e non realmente tra loro.
Kaos è una serie intelligente, ma a volte è chiaro che non è tanto intelligente quanto crede di essere: basta vedere come vengono gestiti i troiani, poco più di un metacommento a determinate situazioni fin troppo reali e che poi ritornano, per qualche motivo, a fine stagione. Nonostante avessero già dato quello che dovevano per la trama.
E ora, grosso spoiler.
Siete state avvertiti.
Siete ancora qui? Bene.
La risoluzione del mistero è quanto di più banale è possibile. A quanto pare gli dei, una volta, erano mortali. Ma possono raggiungere l’immortalità consumando le anime dei mortali. Per questo hanno creato una soglia che i defunti attraversano, spinti dalla promessa di una reincarnazione in una vita migliore, ma che in realtà li manda nel nulla dove saranno poi assorbiti.
Tutto ciò è incredibilmente banale e superfluo. L’intera stagione diventa quindi un costante rialzo a far vedere quanto Zeus sia cattivo (senza concedere però lo stesso trattamento ad Hera o Poseidone, pur essendo altrettanto crudeli) e solo un attore con la personalità di Jeff Goldblum poteva rendere questa sua caduta credibile.
Kaos non si conclude, ma prepara la scacchiera per la stagione successiva. E, per quanto abbia perlopiù apprezzato questa stagione, Kaos non è una serie che continuerò a seguire.
Kaos è una serie le cui idee sono più brillanti della loro esecuzione e che vede in Jeff Goldblum più Atlante che Zeus, reggendosi sul suo carisma per darci un motivo di proseguire la visione fino alla fine di questa stagione.