La nuova serie animata su Terminator prende di petto i rapporti tra umani e intelligenza artificiale, sposando momenti action e horror a profonde riflessioni filosofiche e cercando un nuovo equilibrio per l’intera saga. Ecco la nostra recensione
Terminator Zero: il robot killer in Giappone
Terminator Zero, serie Netflix d’animazione giapponese di otto episodi sempre basati sulla saga sci-fi iniziata da James Cameron, si spinge molto più a fondo dietro alle argomentazioni esistenziali che hanno dato inizio al conflitto tra umani e macchine che sta al centro della serie, e che vede l’impiego dei famigerati robot assassini.
C’è un po’ di tutto: sparatorie, viaggi nel tempo, paradossi, esplosioni, uccisioni violente, atti di eroismo, tecnologia fantascientifica, colpi di scena, ragionamenti intricati e momenti horror. Lo stile d’animazione giapponese è pregevole e di qualità , mentre la scrittura di Mattson Tomlin – che sta lavorando al sequel di The Batman assieme a Matt Reeves, tanto per dire – è attenta e ambiziosa.
Si sente la mancanza di Schwarzy, eccome
In pratica Terminator Zero ha tutto quel che serve per coinvolgere i fan della saga, pur con la limitatezza dei suoi otto episodi da venti minuti e poco più, ma anche con un finale aperto che lascia intravedere possibili scenari per nuove stagioni. Quello che però un po’ manca è naturalmente un personaggio davvero iconico come, manco a dirlo, il Terminator di Arnold Schwarzenegger.
Senza di lui la saga non sarebbe mai decollata e ancora oggi è impossibile pensare al franchise – pur con tutti i vari spin-off e le varie continuity – senza richiamare alla mente lui e le sue memorabili battute. In questo la serie giapponese si prende molto, forse troppo sul serio perdendosi in una drammaticità intellettuale che forse in soli otto episodi è fin troppo intricata da districare.