Ti West è il regista di Maxxxine, attesa conclusione di una ideale trilogia iniziata con X e proseguita con Pearl.
L’horror è un genere che da sempre, storicamente, è il più adatto a dialogare con il suo tempo e l’attualità: a dispetto di quanti ancora vedono nel genere un passatempo o una cosa buona per far saltare sulla sedia, l’horror ha uno spessore ideologico ed estetico indiscussi (come dice il buon Piermaria Bocchi), proprio perché le sue immagini, quasi sempre, hanno un ponte dialogico con la contemporaneità.
Ti West è uno che queste cose probabilmente le sa benissimo: ha studiato infatti produzione cinematografica alla prestigiosa School of Visual Arts di New York, e quando la sua insegnante Kelly Reichardt lo presentò all’icona underground Larry Fessenden, è stato proprio questi a voler produrre il suo debutto alla regia nel 2005 con TheRoost.
Ti West, La Casa Del Diavolo e i grandi maestri
La sua opera prima allora cerca di rinverdire i fasti del b-movie, allacciandosi ad un’estetica ben precisa con un impianto visuale decisivo: un po’ come The House of Devil del 2009, che -girato in 16mm- si tuffa a capofitto nei primi anni ’80 e nonostante questo riesce a mantenere un andamento meditativo perché tutte le sue suggestioni sono teoriche. The House ha poi una fedeltà assoluta e completa all’epoca anche a livello tematico, rimettendo in scena “la baby sitter in pericolo”, ma Ti non parassita un immaginario noto e codificato bensì si spinge fino al recupero filologico.
Fin dall’inizio West, anche sceneggiatore dei suoi film, gira dei piccoli saggi su come costruire la tensione, citando Hitchcock, il Kubrick di Shining, Carpenter, Cronenberg, per poi svicolare senza seguirli fino in fondo. Il successo arriva da lì’ a breve, quando nello stesso anno gira il sequel di un cult come Cabin Fever.
Anche in questo film si respira aria da slashermovie uscito dagli Eighties, ma probabilmente qui più che nei film precedenti West riesce ad usare l’immagina raccapricciante più che lo spavento per fari risuonare sottotraccia un discorso politico e sociale: e allora Cabin Fever 2: Spring Fever (in Italia, Cabin Fever 2: IlContagio) diventa intelligentemente scorretto e volutamente sgradevole.
Probabilmente, con l’incoscienza dei suoi giovani anni e gli studi di cinema freschi, solo West avrebbe potuto raccontare di emarginazione sociale, ormoni impazziti, un virus che ti scioglie la pelle con una patina di malinconia ed empatia (certo, il film avrebbe potuto essere ancora meglio se la produzione avesse lasciato carta bianca al montaggio al regista: che invece, considerando il girato fin troppo devastante, è stato messo da parte e il film fatto montare da altri).
Raccontare la Storia con il cinema di genere
Nel 2013 la Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, nella persona di illuminato Alberto Barbera che ormai è chiaro come abbia a cuore i generi, si accorge di questo genio di provincia e inserisce nella sezione Orizzonti The Sacrament.
Ispirato al massacro di Jonestown da parte della setta del Tempio del Popolo (balzato tristemente agli onori della cronaca quando nel 1978 i 909 abitanti del progetto agricolo persero la vita avvelenati con il cianuro, assunto per un suicidio rivoluzionario), anche questo film ha una sua estetica personale perché, dopo gli anni ’80, usa come vestito per l’horror il mockumentary, lavorando diligentemente sulla sua linea visuale.
Il rigore formale è poco, perché quello che interessa a Ti è la credibilità e la fluidità narrativa.
Ti West vuole dinamizzare storie già illustrate (tramite il mockumentary o l’estetica anni ’80) del cinema di genere, grazie ad un eccesso di realismo a senza mai rifugiarsi alla parodia o al saccheggio.
The Sacrament è dominato dalla sobrietà espressiva e dall’iperrealismo: ma il risultato è ancora più agghiacciante.
Ti West e Them
Prima della trilogia formata da X -A Sexy Horror Story (disponibile su Midnight Factory), Pearl e Maxxxine, c’è una -magnifica- deviazione televisiva, che da una parte non contraddice l’ispirazione di West, dall’altra arricchisce il suo sguardo: sono alcuni episodi della prima e seconda stagione della serie antologica Them (esattamente, i numeri 7 e 10 della prima, e il 10 della seconda), disponibili su Prime Video.
Anche qui, nel serial ideato da Little Marvin, Ti West trova terreno fertile per le sue ossessioni cinefile: nella prima stagione si va alle radici più spaventosamente cristalline del razzismo americano, subito dopo la Grande Migrazione di metà anni ’50 in un sud infestato dalle leggi di Jim Crow; mentre nella seconda si inoltra nei vicoli bruciati dallo scontro razziale degli States degli Anni Novanta dove ancora si fanno i conti con la vicenda di Rodney King. Ancora una volta, West pesca a piene mani dalla storia, dalle storie, e racconta l’orrore.
È però del 2022 il film che ha lanciato definitivamente Ti West nella grande industria hollywoodiana, ovvero X, A Sexy Horror Story.
X sta per divieto
Uno slasher movie sfrenato e sbracato costruito sulle paure di un Paese che cambia in fretta: passione e frustrazione attraversano il decimo film di Ti West che questa volta decide di posizionarsi cronologicamente ed esteticamente a cavallo degli Anni Settanta, quelli di TobeHooper, l’American Gothic e il Texas ChainsawMassacre.
Il mondo onirico di Ti è popolato da cialtroni ed invasati; e ogni storia da lui immaginata mostra le crepe delle ideologie religiose e secolari: le parole che risuonano sono parole di condanna, minacciose, e nascondono angoli della mente poco illuminate, soggiogate dall’adorazione del Male. X punta il faro sul proibito, sul vietato: ma sotto la maschera trasgressiva dell’orgia c’è il riflesso del puritanesimo, la morale pubblica messa a repentaglio dal piacere, repressione e frustrazione, desiderio e rottura. Nella storia, un gruppo di ragazzi e ragazze arriva in una fattoria della profonda provincia rurale americana per girare un “porno d’autore”: qualcosa ovviamente andrà storto.
Una di loro, Pearl, interpretata da Mia Goth, tornerà però nel prequel, intitolato proprio a lei, Pearl.
Due film inscindibili non solo nella sostanza narrativa (il prequel è solo un’esile filo che li accomuna: la protagonista, di nuovo Mia Goth, diventerà nel secondo l’anziana proprietaria psicopatica della fattoria), anche se questo va alle radici del secolo e ambienta la sua storia nel 1917, alla fine della Prima Guerra Mondiale. Pearl è allora un viaggio nelle illusioni del cinema ma anche nelle zone più nascoste della follia: eppure, non è più questione di nostalgia o recupero filologico. Il cinema di Ti West arriva dal secolo precedente, il vizio di forma autoriale ora è diventato qualcosa di più profondo.
È con MaXXXine, il suo film del 2024, che Ti West raggiunge però lo status di autore: con un film che lo proietta come un satellite nelle iperboli di Hollywood. E non è tanto il cast da tappeto rosso –KevinBacon in grandissimo spolvero e sempre più in forma, Bobby Cannavale, Elizabeth Debicki, Giancarlo Esposito, LilyCollins, Michelle Moneghan, per non parlare dell’esplosione nucleare che è Mia Goth-, quanto per la compattezza teorica che raggiunge il suo cinema.
Una parabola in ascesa che cristallizza forme e teoremi, per un cinema usato come retromania e per compiere un viaggio nel tempo a documentare e puntare il riflettore sulle ossessioni, ovvero la follia dell’integralismo moralista che viene da lontano ma da vicino, ovvero da quelle forme di perbenismo livellatore molto vicino alle foghe religiose. Dove prima c’era o The Sacrament (il fanatismo religioso) o Cabin Fever: Spring Fever (l’oscenità del sesso), adesso c’è MaXXXine che tutto comprende e tutto divora, con un gusto cinefilo di prim’ordine.
Oltretutto in una compattezza narrativa invidiabile: terzo atto di una trilogia neanche troppo ideale che si pone come sequel diretto di X – A Sexy horror Story, che a sua volta era una sorta di erede di Pearl, in tre opere che vedono come trait d’union prima di tutto il viso inviolabile della Goth, perno centrale della storia (era Pearl nel film omonimo del dopoguerra; era sia Pearl la pazza che Maxine in X; ed è Maxine in MaXXXine) che a seconda dall’angolazione con cui viene vista e inquadrata è sia villain archetipale -bionda hitchcockiana o anziana assassina- sia monolito di divismo che in un colpo solo riprende Bette Davis, Tippi Hedren, DarylHannah e tutte le dark lady e le finalgirl del cinema moderno e postmoderno.
MaXXXine conferma lo sguardo e l’ispirazione di un cineasta purissimo, che combina le suggestioni in infinite combinazioni che combaciano e si dissociano tra citazioni dotte, teste esplose e le diverse estetiche prese a modello (noir, slasher, horror anni ’80).
La cosa più vistosa, però, è come West sa maneggiare le sue immagini e le sue storie restando in un livello altissimo di metadiscorsività, perché il suo cinema non viene mai meno alla coerenza drammatica e simbolica: il regista dice sempre qualcosa per dire qualcos’altro (MaXXXine è una critica al concetto di divismo pur restando fermo sulle ossessioni autoriali di sopra, così come The Sacrament era un pamphlet contro il fanatismo o X sull’identità scopofila tra porno e horror), intreccia le dinamiche e i topoi del genere ma persegue i suoi obiettivi e non lascia dietro niente, costruendo discorsi teorici sulle immagini e sul loro valore, e sempre e comunque sul valore salvifico del cinema.