Carmen Consoli è la miglior cantautrice italiana, e una che non dimentica le radici.
Lo dimostra la sua discografia, la sua ispirazione, il suo non tralasciare la cadenza siciliana quando parla; e anche i suoi live, come Terra Ca Nun Senti, sorta di tour evento che porta in giro per il mondo la tradizione della Sicilia attraverso le sue canzoni e i brani di Rosa Balestrieri e Franco Battiato tra gli altri.
New York, Montreal, San Francisco, Los Angeles, Miami, e ancora Pompei, Mestre, Oria, Fiesole, Trieste, Cartagena fino al prestigioso La Mar de Mùsicas Festival di Cartagena: un giro mondiale per una narrazione in note e musica dalla Sicilia che mette in scena storie e Storia, paesaggi e personaggi, caratteri ed emozioni.
E il 24 agosto Terra ca nun senti è approdato a Catona (RC), nel prestigioso cartellone di CatonaTeatro: l’abbiamo visto per voi, per raccontare la scaletta approntata da Carmen e passare in rassegna tutti i suoi album, dall’esordio con Due Parole del 1996 fino all’ultimo uscito nel 2021, Volevo fare la rockstar.
Carmen Consoli: una carriera in costante ascesa
9 album in studio, 3 dal vivo, 1 compilation, 1 di colonne sonore: dopo il debutto nel 1996 con Amore diPlastica, scritta con Mario Venuti, il successo di Carmen Consoli è stato in costante ascesa senza mai fermarsi, vincendo una Targa Tenco, due Premi Lunezia, sette Italian Wind & Musica Award, e poi Telegatti, candidature ai David di Donatello e Nastri d’Argento per il brano L’Ultimo Bacio, colonna sonora del film omonimo di Gabriele Muccino, diventando la prima donna a vincere la Targa Tenco come miglior album, la terza artista ad esibirsi allo Stadio Olimpico a Roma, e il suo Confusa e felice è stato inserito dall’autorevole Rolling Stones tra i 100 migliori album italiani.
Carmen Consoli: l’inizio in Due Parole
Nel 1996 Carmen, la cantantessa, a 22 anni esordisce con Due Parole, dopo una notevole e fruttuosa esperienza come cantante di cover blues: il disco è ovviamente ancora acerbo, ma mostra già un talento indiscutibile, un mondo interiore ricco e poliforme, un gusto unico per la composizione musicale. Nella quale per adesso è puntellata dalla consulenza di Mario Venuti, che con lei scrive la sua prima hit (che diventerà con il tempo un classico e un tormentone) Amore di plastica, brano con cui sbarca anche sul palco di Sanremo mostrando una capacità interpretativa unica dovuta anche al timbro vocale inconfondibile.
Il secondo disco è Confusa e felice, che uscito nel 1997 in 27 anni ha venduta ben 130.000 copie. Ma all’uscita, l’opera seconda (che si sa, nella discografia è quella più difficile) ha fatto un effetto straniante a chi ascoltava per la prima volta la voce della Consoli: un “sai benissimo” nella traccia omonima del disco, spezzato e cantato da una voce prima esile poi improvvisamente potente e aggressiva, che sembra grottesco ma invece è solo stile atipico di una cantante personalissima.
Confusa e felice è un cd italiano che suon un po’ come un disco americano, che sembra residuato da sessioni dei Pearl Jam alle chitarre insieme a Janis Joplin ai cori. Dopo la prima esperienza con Venuti, Carmen decide di scrivere tutto lei: e allora via a metriche inedite per l’Italia, la musica si adatta alle parole e le parole si contorcono per adattarsi alla musica, ma i testi sono poesie che rifuggono la banalità e abbracciano la semplicità. Un disco che è bello dall’inizio alla fine, nella quasi impossibilità di distinguere uno dall’altro ma in senso buono.
Un’artista Mediamente Isterica
Se il primo disco suonava sommesso e intimista, il secondo esplodeva con chitarre fragorose ed esplosive, Mediamente Isterica nel 1998 trova l’esatto equilibrio tra i due e porta ancora più avanti il discorso musicale della Consoli.
Sentivo l’odore, Geisha, Eco di Sirene, Contessa miseria, sono brani di rara bellezza e potenza, esplodono con la voce blues di Carmen, descrivono una tristezza esistenziale che si trasforma in rabbia; invece Autunno dolciastro, Quattordiciluglio, Anello Mancante, sono poesie delicate e soffuse immerse in una malinconia disperata. In mezzo, composizioni geniali e brevissime, dal sapore futuriste, come Besame mucho, In funzione di nessuna logica e L’ultima preghiera.
Il successo arriva ed Eco di Sirene diventa una hit, ma il disco successivo sarà quello di maggior successo commerciale (avrà anche un’edizione francese, État de necessité, contenente Gamine Impertinente e Narcisse, traduzioni di due brani, e Je suis venue te dire que je m’en vais, cover di Serge Gainsbourg) forse perché trainato dalla song che dà il titolo al film contemporaneo di Muccino, L’ultimo bacio. Stato di necessità è un punto di arrivo fondamentale: è un album che la proietta verso il futuro e mette un punto al passato, consolida la sua cifra stilistica che da una parte si asciuga dall’altra si arricchisce di nuove sonorità, mischiando insieme rock, brit pop, power pop, l’orchestrazione sinfonica (di PaoloBuonvino) con chitarre liquide e cristalline suggestioni lunari che iniziano a riecheggiare la melodia tradizionale siciliana. I synth, le chitarre, le batterie, sembrano fondersi con i fiati, gli ottoni, gli archi, grazie alla voce di Carmen che accentua le sue particolarità ma ci vola sopra leggera accarezzando il jazz, il soul, il pop più luminoso, fino a sonorità latinoamericane.
Per tutto questo, il disco successivo suona come una svolta: che emerge da un asserragliamento alle pendici dell’Etna, e risucchia nelle sue tracce stagioni siciliane, piogge primaverili, estati assolate, diversità cromatiche emotive, e un passo più disteso e riflessivo.
L’Eccezione è del 2002 e fa esplodere pe la prima volta l’intensa sicilianità di Carmen, che inizia a rivisitare le sue radici giocando con la poesia, la metrica, la tradizione, creando un gioco di specchi assolutamente prezioso tra clichè musicali, commistioni inventive, dialetto stretto, ambientazioni popolaresche.
I brani parlano di solitudine esistenziale, che è un po’ la traccia rossa che legava Due Parole, Confusa e felice, Mediamene isterica e Stato di Necessità: sono due le canzoni che stanno agli antipodi dello spettro sonoro, Matilde odiava i gatti e Moderato in re minore. Loop robotici e furibonde distorsioni di chitarre, post-punk e fiati di Buonvino, formano un ensemble musicale estremamente elegante ma sempre sincero fino all’osso, tirando dentro umori parigini e jazzy: versatilità strumentale e ricchezza di arrangiamenti sono la parola d’ordine, ma Carmen -titolo anche di una piccola perla strumentale- si muove con disinvoltura in mezzo a questo rigoglio musicale e letterario con estrema eleganza espressiva.
È come se un album fosse sempre l figlio dei precedenti: è per questo che Carmen Consoli non ha mai tradito la sua ispirazione, né i suoi fan, né la critica, andando dritta per la sua strada e sempre e comunque alzando l’asticella della qualità senza piegarsi mai a logiche commerciali.
Da rockeuse a cantautrice: è questa l’impressione che si ha ascoltando il sesto album in studio, Eva contro Eva. Un disco nel quale domina un sound minimale, arpeggi di chitarre, arrangiamenti curati, e titoli e personaggi che sembrano usciti da racconti di Pirandello (Maria Catena, Piccolo Cesare, Signor Tentenna); un disco che sembra essere un elogio alla lentezza e alla riflessione, sincronizzato sui ritmi della Sicilia, sulle preghiere, i rosari, i pettegolezzi, i tradimenti.
Dominano le tonalità naturali insieme alle chitarre acustiche, che riprendono Stato di necessità di qualche anno prima (tra L’Eccezione e Eva contro Eva ci sono quattro anni), Carmen evita sempre con accuratezza i riff o i ritornelli a presa rapida, scrivendo un disco come sempre lontano dal fast food e anzi inafferrabile e difficile da metabolizzare, sempre spericolata nella metrica nel vocabolario, mentre restando con i piedi ben piantati in Sicilia si guarda intorno e annusa quello che viene dal Mediterraneo (umori balcanici di Goran Bregovic ne Il Pendio dell’abbandono) o da un’Africa gioiosa e intensa quanto abusata e offesa in Madre terra.
L’abitudine di tornare a stupire
Le lunghe pause diventano una costante: se Eva contro Eva è del 2006, il disco successivo esce dopo tre anni, Elettra (2009); dopo ben sei L’Abitudine di tornare (2015), e l’ultimo inedito ad oggi è Volevo fare la rockstar (2021).
Elettra continua il discorso folk-rock del lavoro precedente: il songwriting continua ad elogiare la riflessione e la complessità compositiva, le canzoni scelgono l’intensità di bozzetti dalla potenza sottocutanea con frasi musicali elaborate, cangianti, testi ricercati filologicamente. E questa volta lo sguardo alla tradizione riprende miti, figure femminili e simbologie assortite riqualificate dalla chiave moderna. c’è un’attenzione quasi vicina alla poetica di De Andrè alle vittime di abusi, alle loro storie.
Sono diverse le tracce capolavoro, da Col nome giusto (omaggio -citato- a Domenico Modugno, pieno di archi volteggianti e suadenti, che suggeriscono dolore e gioia insieme) a ‘A finestra (omaggio questo a Rosa Balestrieri, denuncia acuta e velenosa -o avvelenata- al perbenismo cafone di provincia espressa con un dialetto espressivo e acuto). Elettra, ora con le iperboli dialettali, ora con la preziosità cantautoriale (gli sbocchi in francese di Marie ti amiamo, con Franco Battiato), le visioni metafisiche e visionarie (Ventunodieciduemilatrenta), racconta lo scontro di chi non riesce a vivere con i propri sentimenti per ciò che sono, e chi sopprimendo le proprie passioni è destinato alla deformità, alla brutalità, alla bestialità.
Uscito dopo sei anni da Elettra, anche L’abitudine di tornare è personale e universale insieme: è un disco di una donna che non racconta più sé stessa ma il mondo che sta lasciando al figlio (nel frattempo la Consoli è diventata mamma) con l’aiuto di un folk-pop in salsa elettro-acustica, con una voce inconfondibile, armonie distese e rilassate, chitarre arpeggiate e batteria assoluta protagonista. C’è un occhio più acceso sull’attualità osservando gli sbarchi, il femminicidio, la crisi politica, ma l’attitudine poetica non si lascia limitare: il sentiero è quello dove continua Volevo fare la rockstar, riflessione sempre più matura che schiva la frenesia bulimica dei giorni moderno, tra sfera intima e politica, nostalgia e speranze.
Il disco seduce lentamene in modo inesorabile, ha una armoniosità melodica che raramente la Consoli aveva raggiunto, e in più una delle sue migliori canzoni degli ultimi dieci anni, ovvero la struggente title-track.
Volevo fare la rockstar è insomma un progetto ricco di suggestioni diverse che affonda le radici in un rock raffinato, un vortice che risucchia da una parte e dall’altra, verso il passato (con la presenza, fissa nella sua poetica, del padre, della sua ombra lunga, della sua nostalgia e ricordo) e verso il futuro (i momenti più radiosi dedicati al figlio Carlo Giuseppe)
Carmen oggi: il concerto Terra ca nun senti
Il New York Times ha definito Carmen “un’intellettuale del rock immersa nella tradizione”, e sembra l definizione perfetta dopo averla sentita nel live Terra ca nun senti, il live di cui parlavano sopra, nato sotto l’ombra del suo amore per la cantautrice, cantastorie e poetessa Rosa Balestrieri e la Sicilia.
Fin dal titolo che riprende un suo brano: “Malidittu ddu mumentu/ ca graprivu l’occhi nterra/ nta su nfernu/ Sti vint’anni di turmentu/ Cu lu cori sempri nguerra/ Notti e jornu/ Terra ca nun senti/ Ca nun voi capiri / Ca nun dici nenti/ Vidennumi muriri/ Terra ca nun teni/ Cu voli partiri/ E nenti cci duni/ Pi falli turnari” (Maledetto quel momento/ che ho aperto gli occhi sulla terra,/ in questo inferno/ Questi vent’anni di tormento/ col cuore sempre in guerra/ notte e giorno/ Terra che non senti, che non vuoi capire,/ che non dici niente vedendomi morire./ Terra che non trattieni/ chi vuole partire e niente dai/ per farli tornare.)
La scaletta del concerto che Carmen ha portato il 24 agosto a Catona, interno al cartellone di CatonaTeatro, è composta da brani che spaziano dal secondo album Confusa e Felice fino all’ultimo Volevo fare la rockstar, passando per le tracce più significative di Mediamente isterica ed EvacontroEva, ma anche gioielli dimenticati da Elettra e L’Eccezione: inoltre, i brani di Rosa Balestrieri e Franco Battiato in dialetto siciliano.
Il live fa parte del percorso che la cantantessa ha iniziato nel 2001 al teatro greco-romano di Taormina, dove, prima artista in Italia ad esibirsi lì con un’orchestra sinfonica, ha portato il concerto L’anfiteatro e la bambina impertinente: un contributo notevole e importante alla diffusione della cultura e delle tradizioni siciliane, per trascinare fuori la Sicilia dal suo isolamento geografico e umano, raccontando i più deboli, i lavoratori dimenticati, le donne che nascondono i dolori e vanno avanti.
Vestita con un abito scuro lungo, maniche di tulle, stivali rossi, Carmen Consoli inizia con un brano in dialetto e poi si tuffa subito nel passato recuperando tracce dei suoi esordi: poi compie un percorso in avanti e indietro senza soluzione di continuità fino alla seconda parte del concerto dove si concentra sui brani del repertorio della tradizione: la Balestrieri ma anche Battiato e i suoi stessi componimenti in dialetto.
Ed è proprio qui che il concerto prende il volo: Carmen Consoli ha una voce incredibile, perfettamente contenuta, perfettamente usata, e spesso i suoi dischi soffrono l’ascolto casalingo perché è nei live che l’interprete mostra la sua potenza vocale. Aggressiva e potente, dolce e delicata, intensa e graffiante: dopo Stranizza d’amuri, arriva lo schiaffo di Geisha e il dolore lacerato e silenzioso di Maria Catena, due veri capolavori, poi anche Terra ca nun senti (che si spera di poter sentire presto in un cd live) armonizzata con le tonalità tipiche dell’autrice di Amore di plastica, fino ai bis con i recupero doverosi che partono da Bonsai #2, l’esperimento che fece in Confusa e felice, ovvero un piccolo brano in italiano ma recitato al contrario (“oderc ni em, len oim emora, rep etra: is, eroma”).
I musicisti: Germinio Calà ai flauti etnici, Valentina Ferraiuolo tamburo a cornice e percussoini e cori, Marco Siniscalco basso e contrabbasso, Puccio Panettieri batteria, Adriano Murania violino e chitarra acustica, il classico Massimo Roccaforte chitarre e mandolino