7: Carrie, Kash e tutti gli altri (meno la protagonista), da EXTRAORDINARY
Un mondo dove tutti hanno dei superpoteri? E’ quello che vediamo messo in scena in Extraordinary, la bella serie creata da EmmaMoran per i tipi di Disney Plus arrivata alla seconda stagione. Che però si fa notare per la sua protagonista Jen (Máiréad Tyers)… che non ha nessun potere!! Extraordinary racconta infatti della venticinquenne Jen che vive in un mondo in cui l’arrivo della maggiore età coincide conl’arrivo di un superpotere. I suoi coinquilini ci sono già passati: Carrie sa entrare in contatto con i defunti ma in modo del tutto non convenzionale, infatti le persone decedute prendono possesso del suo corpo e “rivivono” attraverso lei; Kash può manipolare il tempo, andando avanti o indietro di pochi minuti; mentre un misterioso gatto diventa un ragazzo che ha passato così tanto tempo con le sembianze feline da non ricordare più chi è. Alla deriva in questo modno confuso, Jen inizia a compiere un viaggio interiore -ed esteriore!- per trovare il suo possibile superpotere, anche se questo vorrà dire scavare molto, molto in profondità…
La seconda stagione di Extraordinary si è conclusa con uno di quei cliffhanger che non ti danno pace fino alla ripresa della nuova serie: ma il punto forte del serial della Moran è il ritratto di una gioventù che cresce e matura nonostante l’utilizzo di superpoteri, ribaltando la concezione classica di Stan Lee.
6: Undici, da STRANGER THINGS
Probabilmente, solo i termosifoni oggi non conoscono Stranger Things, la serie creata dai fratelli Duffer che ha cambiato l’iconografia teen degli anni Zero inventando un nuovo mondo e nuove suggestioni che vanno dall’horror al dramma adolescenziale. Sicuramente, tra i personaggi più forti e riconoscibili c’è Undici (Eleven, in originale, interpretata da Millie Bobby Brown), ragazzina dotata di straordinari poteri telepatici ma cresciuta in laboratorio, che scopre la vita vera proprio grazie ai protagonisti della serie. Siamo tutti in attesa febbrile della quinta e ultima stagione, e allora proviamo a vedere qual è stato il segreto del successo delle prime quattro.
da facebook Stranger Things Official
Se le prime due stagioni erano legate a filo doppio come fossero una erano il level one del gioco; la terza era quindi il naturale prosieguo mettendo in scena con tutta la stupida (ma mai sciocca) e stupita tragicità i dolori della cresci; la quarta invece si avvicina al game over, sale un gradino di più e miracolosamente si ricollega alle sue suggestioni senza rinnegarle e proietta i personaggi nell’età adulta, adottando un mood drammaturgico più oscuro.
Perché se nel sottotesto di StrangerThingssi parla di edonismoreaganiano, non si può non pensarlo in rapporto ad uno dei miti cinematografici fondanti di quell’epoca, ovvero Nightmare di Wes Craven: che è anche innegabilmente il nume tutelare della creatura seriale dei Duffer che abbandona i Goonies per arrivare alla paura pura, teso a focalizzarsi su un racconto che si arricchisce di sfumature, e che non si preoccupa più di tradurre tutto in una messa in scena al servizio della storia ambiziosa per il suo intrecciare i vari segmenti della trama inspessendo la struttura, innervandola di ombre notevolmente più cupe.
5: i ragazzi dei servizi sociali, da MISFITS
Nathan (Robert Sheehan), Simon (Iwan Rehon), Kelly (Lauren Socha), Curtis (Nathaniel Stewart-Jarret) e Alisha (Antonia Thomas) sono dei ragazzi costretti ai lavori socialmente utili dopo essere stati arrestati per vari crimini minori. Quando però durante uno strano temporale vengono investiti da un fulmine, ottengono degli strani superpoteri. Misfits è una serie britannica uscita nel 2009 e andata avanti per quattro stagioni: che probabilmente avrebbero potuto essere di più, e di ben altro successo, ma la serie ideata da Howard Overman (che ha anche vinto un BAFTA nel 2010 come miglior serie drammatica) ha avuto la sfortuna di uscire nel periodo in cui la serialità televisiva si stava espandendo e stava iniziando a mostrare che tipo di qualità potesse avere, ma non aveva ancora molto credito nel pubblico mainstream.
In Italia è uscita poi per i tipi della Fox quando ancora il canale era a pagamento e in chiaro su Rai4 quando le piattaforme erano ancora sconosciute. I ragazzacci di Misfits erano antieroi di largo consumo ante litteram: ben lontani dai grandi poteri e grandi responsabilità, non usavano i poteri per risolvere i problemi del mondo ma solo per il tornaconto personale. Da questo punto di vista, infatti, la serie poteva benissimo essere la controparte, anzi lo specchio scuro di Heroes, altro seriale simile ma più stucchevole: infatti, Misfits offriva un affresco adolescenziale estremamente preciso, dove i super poteri rimandavano a patologia complesse dell’età di mezzo.
da facebook Hall of Series
I superpoteri sono forse noti, ma sono superpoteri non tradizionali nella loro natura. Timidezza sociopatica diventava invisibilità, senso di colpa in possibilità di redenzione viaggiando nel tempo, timore di non essere accettati in passione morbosa: il soprannaturale allora era un timido espediente per mettere in scena dinamiche relazionali tra i vari personaggi, tutto calato in un contesto sociale aspro e sempre più divincolato.
Non si può dire di conoscere (o essere in…) una famiglia disfunzionale se non si conosce prima la famiglia Hargravees: segreti e bugie, ma anche gravidanze in vitro, sperimentazioni folli, un padre amorale e una madre robot fino ad un amico scimpanzè, e al centro i sei fratelli Hargravees: Vanya/Viktor (Elliot Page), Luther (Tom Hopper), Diego (David Castaneta), Allison (Emmy Raver-Lampman), Klaus (Robert Sheenen), Cinque (Aidan Gallagher).
E sono i protagonisti di The Umbrella Academy, l’ennesima rilettura del mito del supereroe da un fumetto di Gerard Way e Steve Blackman e poi da una serie di successo targata Netflix, che frulla insieme suggestioni superomistiche della Marvel (soprattutto degli X-Men, da cui riprende lo studio accurato dei personaggi e le loro interrelazioni) e della DC (Watchmen, da dove mutua l’atmosfera lugubre e soffocante e lo stile esistenzialista e il linguaggio metanarrativo), intinte nei cromatismi emotivi di Wes Anderson (I Tenenbamum).
da facebook, Uncanny Comics
Ma non si pensi che il risultato sia banale o già visto: The Umbrella Academy è ancora oggi, con tre stagioni all’attivo e in attesa della quarta appena uscita e ultima, una delle migliori produzioni Netflix, uno degli esiti più felici del genere cinecomics e in assoluto un’opera che racconta, senza disillusioni, il destino di una famiglia disfunzionale e infelice, e il percorso di ogni singolo membro per accettarsi, venirsi incontro e alla fine affrontare la vita e magari sopravviverle. supereroistica: perché va al contrario, perché i personaggi sono prima dei supereroi -per nascita- e poi dei misfits, degli emarginati, degli outsider colorati e imbruttiti, superesseri loro malgrado che rifiutano il loro status attribuendo al “superpotere” ogni sofferenza della loro esistenza.
Sono insomma sei (spoiler: sei più uno…) personaggi che un autore l’hanno trovato: sei personaggi alla ricerca di un capocomico scomparso -Hargreeves- che possa “allestire” il loro spettacolo e dare forma al loro dramma, dando senso alla loro sofferenza. La ricerca per lo svelamento del mistero è insomma un sentiero interiore a tutti gli effetti, puntellato qua e là da ritratti di personaggi più o meno riusciti.
da facebook, Uncanny Comics
Il punto di arrivo del sentiero, però, è doloroso e intimo quanto quello di partenza: perché se tutto nasce da quarantatrè parti misteriosi e uno scienziato (apparentemente) pazzo, la meta alla quale i fratelli Hargreeves arrivano è la consapevolezza, lacerante, che essere “normali” è pericoloso mentre essere “speciali” porta solo sofferenza. Una strada senza uscita.