Proprio su un terreno così fertile, il libro di Lewis Carroll che sembrava scritto apposta per essere destinato a una trasposizione da parte del regista, quest’ultimo si è scoperto inaspettatamente poco ispirato. Da lì in avanti è stata una lenta discesa, forse interrotta solamente dal divertentissimo “Frankenweenie” (film d’animazione del 2012, da non confondere con l’omonimo corto sempre diretto da Burton nel 1984), un film che immaginiamo sia piaciuto moltissimo a Joe Dante.
La figura del freak è sempre in primo piano (pensate a “Dumbo”, “Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali” o il personaggio di Margaret Keane in “Big Eyes”), ma manca qualcosa rispetto al passato e riteniamo si tratti di due elementi determinanti: cuore e coraggio. È come se Burton avesse compiuto un passo indietro rispetto alla propria poetica, in direzione di una malcelata conformazione alle major (Disney docet) e, aspetto ancor più grave, a un’idea di fan service verso i propri ammiratori.
Come quindi se, in altri termini, stesse cercando di assecondare più le aspettative che non la propria vena autoriale, finendo con l’appiattire quest’ultima in virtù di un servilismo artistico che finisce per non compiacere o accontentare nessuno (gli ultimi incassi a onor del vero non sono dirompenti).
L’universo di Beetlejuice, nella sua tracotante radicalità, si offre quindi come un titolo spartiacque: non c’è una possibile via di mezzo tra il fallimento totale e un ritorno in pompa magna ai fasti dei vecchi tempi. Ritorna parte del cast e, come già anticipato dal trailer, anche molte invenzioni del primo film.
Willem Dafoe e Monica Bellucci sono due strambe e inaspettate new entry e Jenna Ortega protagonista si preannuncia degna figlia dell’impareggiabile Lydia che – assieme a un’altra manciata di ruoli tra la fine degli 80’ e i 90’ – ci ha fatto amare Winona Ryder. La durata di 144 minuti suscita più curiosità che non tedio a priori.
Rimane da scoprire come mai Tim Burton sia tornato su Beetlejuice: davvero non sa più cosa tirare fuori dal cappello per ridursi a fare un sequel così apparentemente fuori luogo e – soprattutto – fuori tempo massimo? O forse ha davvero e dopo molti anni qualcosa di nuovo da dire? Lo scopriremo il 5 settembre, anche se lo scetticismo che circonda questa uscita è tanto, nella speranza che Tim Burton ci faccia ballare di nuovo. Meglio se sulle note di Harry Belafonte.