Ecco perché molto probabilmente il Nosferatu di Eggers sarà un capolavoro
A distanza di un secolo è possibile considerare “Nosferatu – il vampiro” (1922) di Friedrich Wilhelm Murnau il film fondativo dell’horror assieme a “Il gabinetto del dottor Caligari” (1919) di Robert Wiene, per quanto sia soprattutto il primo citato a riportare in maniera più marcata e compiuta i caratteri del genere.
Un’eredità gigantesca quella che si trova a raccogliere il giovane Robert Eggers, regista presto divenuto di culto con titoli grazie ai quali si è indubbiamente contraddistinto nel panorama cinematografico contemporaneo. Se l’esordio “The Witch” (2015) ha fatto immediatamente innamorare critica e pubblico, il successivo “The Lighthouse” (2019) ha soddisfatto più il primo ramo, essendo un titolo affascinante ma decisamente meno accessibile.
Il più recente “The Northman” (2022) conferma invece il talento del regista anche nel compromesso di una parziale concessione a logiche blockbuster. Ed è un talento funebre, indie votato al macabro, vagamente hipster, con la visionarietà di un romanziere d’altri tempi, un senso del gotico ammantato di solennità.
È, soprattutto, un cineasta che riversa nei propri film riferimenti coltissimi, non teme di mostrarsi erudito e stratifica i propri racconti con suggestioni alte e iconografie affascinanti e oscure. Per tali motivi lo riteniamo il regista ideale per riportare sullo schermo un capolavoro, quello del 1922, che è tale soprattutto in virtù delle immagini che ha scolpito nell’immaginario novecentesco.
Nosferatu minaccioso sulla nave in arrivo a Wisborg, la sua ombra che sale le scale o il suo lento avanzare attraverso la porta a volta gotica sono ormai effigi che identificano la Settima Arte al pari del proiettile nell’occhio della luna di Méliès.