Il Caso Yara: è giusto trattare così una tragedia?
Il Caso Yara ripercorre gli eventi di uno dei fatti di cronaca nera più tristi degli ultimi anni, sollevando dubbi e domande senza esimersi da critiche.
Il Caso Yara: Oltre Ogni Ragionevole Dubbio è una docu serie prodotta da Netflix e diretta da Gianluca Neri, che ripercorre i tragici eventi avvenuti a Brembate di Sopra, nel 2010, e che hanno visto la scomparsa della tredicenne Yara, giovane ginnasta originaria del luogo, rimasta vittima di un illogico omicidio, che la Giustizia ha attribuito al muratore Massimo Bossetti, arrestato quattro anni dopo e inchiodato dalla prova del DNA.
Uno dei fatti di cronaca nera italiana più tristi e drammatici degli ultimi anni, che suscitò e continua ancora oggi a suscitare molto interesse nell’opinione pubblica e giornalistica. Netflix è già alla seconda trasposizione sul piccolo schermo de Il Caso Yara, dopo una serie non documentaristica che ripercorreva i fatti di quegli anni. Nella docu-serie viene dato spazio alla figura dello stesso Bossetti, condannato nel 2017 all’ergastolo, sollevando dubbi e domande sullo svolgimento delle indagini, sulla stessa condanna dell’imputato e sulla metodologia con la quale è stato individuato.
Netflix non è di certo la prima ad essersi espressa sullo svolgimento delle indagini de Il Caso Yara. Nella docu-serie si alternano varie opinioni di chi quella vicenda l’ha vissuta sulla propria pelle, sia attraverso immagini e video di repertorio, sia attraverso interviste a giornalisti e persone interessate ai fatti. In questo articolo cercheremo di approfondire sul perché questa serie abbia creato tanto dibattito e come, secondo noi, Netflix abbia trattato un tema così delicato. Buona lettura!
Il Caso Yara: trama
Brembate di Sopra, Novembre 2010. La tredicenne Yara Gambirasio è scomparsa nel nulla mentre ritornava a casa dalla palestra dove era solita allenarsi. Le indagini non partono immediatamente: si pensa ad un allontanamento volontario, anche se poco plausibile. Quando è chiaro a tutti che non lo sia, sia inizia a seguire la pista del rapimento. Si susseguono varie testimonianze, ma nessuna significativa.
Dopo mesi di ricerche nel nulla, il 26 Febbraio del 2011 il corpo della giovane Yara viene rinvenuto in un terreno a Chignolo d’Isola. Sul suo corpo vengono rinvenuti segni di violenza e la causa della morte viene indicata come le conseguenze di alcune ferite e lesioni, unite al freddo dell’inverno. L’unico indizio che viene in aiuto agli investigatori sono delle tracce di DNA sul corpo e gli indumenti. Inizia così una massiccia indagine nella zona di Brembate e limitrofe per cercare una corrispondenza con quella traccia biologica.
Gli sforzi sembrano conclusi quando si scopre che il DNA sembra appartenere a Massimo Bossetti, muratore della zona. Arrestato quasi in diretta nazionale, l’allora presunto assassino viene condotto in carcere e interrogato. Dopo le immagini dell’arresto di Bossetti, nella serie Il Caso Yara, compare proprio il diretto interessato, al quale viene dato spazio per presentare una sua versione dei fatti e proclamare la sua innocenza.
In alternanza di varie versioni e testimonianze, la serie prosegue lasciando dubbi e sollevando interrogativi, senza ovviamente poter giungere ad una conclusione. Quello che rimane, o che dovrebbe, è come, a distanza di 14 anni, non sembri esserci pace per il ricordo di Yara Gambirasio.
Il Caso Yara: che cosa resta?
Il Caso Yara riesce nel suo tentativo di far parlare di sé e creare un dibattito che si era assopito da tempo: la presunta innocenza di Massimo Bossetti. Perché sembra che il vero protagonista della serie non sia il caso o Yara, ma proprio colui che è stato individuato e processato come l’assassino.
Partiamo da un presupposto: una verità assoluta, probabilmente, non verrà mai a galla. Non lo si dice per sfiducia nelle istituzioni o perché fa comodo così. È una consuetudine che riguarda una buona fetta di casi di cronaca nera. Esiste, però, una Verità Giudiziaria che, nelle aule dei tribunali, si prende la responsabilità di decisioni così delicate. Questo è un concetto che recenti, ottimi, podcast stanno evidenziando sempre di più, e non ci vogliamo assolutamente appropriare di questa affermazione.
Il Caso Yara prende una posizione abbastanza marcata rispetto a questo tremendo omicidio. Parafrasando il suo sottotitolo, Oltre Ogni Ragionevole Dubbio, riesce nell’intento di sollevarne molti, mettendo in risalto come indagini di questo tipo subiscano spesso delle inversioni di tendenza o siano avvolte da decisioni e prese di posizione apparentemente inspiegabili. Un gioco a cui Netflix presta molto volentieri il fianco e cerca di rimestare nella parte di pubblico che più facilmente si lascia trasportare in questo tipo di discussioni e dibattiti.
È ben noto come, in seguito al rilascio della serie, sia venuto a galla, attraverso i social, un nutrito gruppo di sostenitori dell’innocenza di Massimo Bossetti. La scelta di dare voce in prima persona a quest’ultimo e sua moglie, Marita Comi, ha creato enormi critiche, soprattutto tra i sostenitori della sua colpevolezza. Una scelta, in ogni caso, coraggiosa da parte di Netflix, che si è assunta il rischio calcolato di essere tempestata di critiche per aver dato voce a colui che, sempre secondo la Giustizia, sia l’assassino di Yara.
Dal punto di vista giornalistico, è giusto suscitare dubbi e sollevare domande, dando voce anche a chi, apparentemente, non ne avrebbe nemmeno diritto. Quindi, che giudizio si può dare al modo in cui il colosso dello streaming ha presentato questo tragico evento? La risposta non è semplice da dare. Il caso è stato ricostruito nei minimi dettagli, con un enorme lavoro di ricerca e consultazione dei faldoni del processo.
Sicuramente, quello che risalta maggiormente è come non esista una voce contrastante a quella di Bossetti, dovuta al fatto che la famiglia Gambirasio abbia preferito non prestare la loro partecipazione alla realizzazione de Il Caso Yara. Una scelta dettata dalla loro riservatezza e dalla convinzione che la serie sarebbe stata di stampo “innocentista”. Così è la cronaca dei fatti ad essere lo sparring partner di Bossetti ne Il Caso Yara. L’evidenza dei fatti riportati e la presenza delle prove a suo carico.
La serie Il Caso Yara si conclude con un doveroso ricordo nei confronti della ragazza, che oggi avrebbe 27 anni. I casi di cronaca nera spesso trascurano il ricordo delle persone che, purtroppo, ne sono state vittime. Il Caso Yara ha forse dato eccessivo spazio alla figura del condannato che si ritiene innocente e poco alla gravità di quello che è avvenuto. Un culto di ricerca spasmodica della vera verità che è sacrosanto, ma che spesso trascura il lato emotivo e sentimentale della vicenda umana che è stata vissuta, e al quale viene dedicato solo un breve ritaglio finale.
Il Caso Yara è indubbiamente un viaggio claustrofobico nei meandri delle indagini e della pressione dei mass media che attorniano persone e comunità che, loro malgrado, vivono determinate esperienze e che entrano a far parte dell’enorme macchina mediatica che si nutre di notizie e testimonianze, alla ricerca continua di risposte su azioni violente alle quali, purtroppo, non riusciremo mai a dare una spiegazione. Ha agito allo stesso modo Netflix? Lasciamo che siate voi a farvene un’idea.
Quello che resta alla fine della serie Il Caso Yara è la certezza che, a vincere, non sarà nessuno. Tutte le persone coinvolte in questa vicenda hanno perso qualcosa. La ricerca della verità, che diventa un Sacro Graal da inseguire, è un obiettivo che compete solo ed esclusivamente alle autorità competenti. Lo stesso intento di Netflix sembra essere più quello di sollevare delle domande ma senza necessariamente voler trovare delle risposte, omettendo nella serie dettagli fondamentali e piste che sono comunque state visionate da produttori e regista.
Alla fine, quello che sembra contare maggiormente, sembra sempre essere più che una vicenda continui a lasciar parlare di sé, invece che metterla a tacere per sempre.