Non Aprite Quella Porta: perché a distanza di 50 anni è ancora un capolavoro

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Un film che sembra quasi sia stato pensato per stravolgere il capostipite sotto ogni punto di vista: fortemente ironico, esagerato e fumettistico laddove il primo era realistico e quintessenziale. Un luna park degli orrori condito con dosi di violenza e disgusto estremi. Generalmente recepito come un fallimento, in realtà a distanza di anni denota più di un motivo di interesse.

Meno interessante è “Non aprite quella porta – Parte 3” (1990), film dallo sguardo anonimo e più trattenuto sul versante del gore, che tra i pochi meriti ha un Viggo Mortensen agli albori della carriera e in un ruolo a dir poco inedito. Ma “Non aprite quella porta IV” (1994) avrebbe fatto di peggio risultando, nonostante la presenza delle giovani future star Renée Zellweger e Matthew McConaughey, uno tra i peggiori, più sciatti e più insignificanti capitoli della saga.

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Per ritrovare bagliori della crudeltà e della sporcizia del capolavoro di Hooper si dovrà aspettare il 2003 con “Non aprite quella porta”, remake ufficiale dell’originale. Uno slasher coi fiocchi che inanella il colpo di genio di portare nel cast R. Lee Ermey, il famigerato Sergente maggiore Hartman di “Full Metal Jacket” che qui interpreta il sadico Sceriffo Hoyt.

Ma è con “Non aprite quella porta – L’inizio” (2006), prequel ambientato nel 1969, che la saga riesce davvero a sfiorare i gloriosi fasti del cult fondatore. Splatter e crudeltà arrivano a livelli insostenibili, ma soprattutto si fanno portatori di uno sguardo politico; cupo ed estremamente pessimista, ha come protagonisti alcuni giovani “disertori” che troveranno un inferno peggiore di quello della guerra nel Vietnam a cui altrimenti sarebbero andati incontro.

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Il film del 1974 è ineguagliabile, ma riteniamo difficile che il franchise possa in futuro arrivare ancora finanche ai livelli di questo straordinario “Inizio”. Tanto è vero che il successivo “Non aprite quella porta 3D” (2013) è uno scempio sul quale è addirittura inutile spendere parole.

Andrà meglio con “Leatherface” (2017) dei francesi Alexandre Bustillo e Julien Maury (quelli di “A l’interieur”, per capirci), ancora un prequel che stavolta racconta la nascita di “faccia di cuoio”. Un road movie spietato e truce, senza che l’assicella del cinema si sposti comunque più di tanto. Chiude – per ora – la lista “Non aprite quella porta” (2022) targato Netflix, sequel diretto del primissimo e bocciato pressoché dovunque. A tratti divertente, ma non lascia traccia di sé.

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Per celebrare il cinquantesimo anniversario di un pilastro della Settima Arte, il nostro consiglio è quello di recuperarlo – se già non l’avete fatto – nella più alta definizione possibile. La versione in Blu Ray/4K permette di ammirarne la vividezza, la grana della pellicola che sfrigola come carne sotto il sole urticante del Texas.

Si rimane una volta di più estasiati, quasi commossi da quella danza finale con la motosega agitata davanti al tramonto. Perché ben lungi dall’essere solo un fortunato film di genere, “Non aprite quella porta”, come i migliori film di Bergman, Godard, Fellini o Leone, si erge ancora a sommo testimone della grandezza del cinema.

A cura di Raffaele Mussini

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