Non Aprite Quella Porta: perché a distanza di 50 anni è ancora un capolavoro

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Proprio in questo sta la sua perpetua rivedibilità, in un fascino avvenente che scorre parallelo al racconto e autonomo rispetto ad esso. In tal senso, “The Texas Chainsaw Massacre” è come una canzone: la puoi ascoltare all’infinito senza stancarti mai. Quindi sì, poetico, eppure malatissimo, malsano come davvero pochi altri, girato in condizioni altrettanto malsane.

Racconti dal set negli special della bellissima edizione della Midnight Factory riportano che il caldo torrido raggiungeva i quarantacinque gradi e durante le riprese della famosa sequenza della cena più di un membro del cast ha avuto problemi di nausea, tra attori infortunati ed estremamente provati.   

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Più o meno ispirato a fatti reali (all’origine ci sarebbe la storia del serial killer del Wisconsin Ed Gein, che uccideva le sue vittime riutilizzando la loro pelle per creare oggetti e indumenti), il film ha creato attorno a sé un’aurea di leggenda, consegnando all’immaginario popolare uno dei killer più celebri di sempre e alla Storia del Cinema una miriade di epigoni e imitatori che non si conta.

Per non parlare della stessa saga, che tra sequel, prequel e remake è ufficialmente arrivata a nove titoli, alcuni peraltro di gran pregio. Lo stesso Tobe Hooper (del quale vogliamo ricordare, all’infuori della serie, alcuni cult irrinunciabili come “Quel motel vicino alla palude”, “Il tunnel dell’orrore” e “Poltergeist – demoniache presenze”) dirige nel 1986 “Non aprite quella porta – parte 2”.

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