Perché il prossimo Mission: Impossible è già il film più atteso del 2025

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La seconda parte di Mission: Impossible – Dead Reckoning arriverà il prossimo anno

La furba moda di dividere un film in due parti con distanti momenti d’uscita (furba perché spesso sfrutta due opportunità di incasso a fronte di un unico grande budget) ha intaccato anche l’ultimo capitolo della fortunatissima saga di Mission: Impossible, in arrivo da noi il 23 maggio 2025 salvo imprevisti.

Un film che è già probabilmente il più atteso dell’anno prossimo per più di un motivo. È innanzitutto l’ultimo del franchise interpretato da Tom Cruise (quindi l’ultimo per antonomasia, perché si sa, Mission: Impossible è di fatto Tom Cruise), ma è probabilmente anche l’ultimo nel quale potremo ammirare la dinamicità, la sfrontatezza e il coraggio di un uomo che – lo si può dire senza peccare di eccessiva adulazione – è più di un attore.

Sbocciato nel cult giovanile “Risky Business” (ma già con qualche altro piccolo ruolo alle spalle), Cruise ha precocemente consacrato la propria fama con “Top Gun” ed è stato solo l’inizio. Non v’è infatti un gigante del cinema negli ultimi trent’anni col quale Cruise non abbia collaborato: Martin Scorsese, Oliver Stone, Rob Reiner, Sydney Pollack, Brian De Palma, Paul Thomas Anderson, John Woo, Steven Spielberg, Michael Mann, Neil Jordan, non ultimo Stanley Kubrick (cosa chiedere di più che Kubrick?).

Quale altro attore vivente può vantare un curriculum simile? Una carriera che oltretutto il divo Tom ha attraversato interpretando un’eterogeneità di ruoli impressionante: reduce storpio per “Nato il quattro luglio”, temibile succhiasangue ceruleo in “Intervista col vampiro”, guerriero tutto onore e disciplina in “L’ultimo samurai”, killer granitico in “Collateral”, rock star trash in “Rock of Ages” e la lista sarebbe ancora lunghissima.

Solo negli ultimi anni e proprio con la saga di “Mission: Impossible” (d’ora in poi M:I), Tom Cruise ha fatto del proprio corpo una cifra autoriale. Eseguendo personalmente tutti gli stunt, Cruise sembra aver sfidato le leggi della fisica, dell’età e del cinema, preso da un’irrefrenabile e inesauribile necessità di superare i propri limiti.

E anche quando un incidente sul set (quel ginocchio rotto durante le riprese di M:I 6) è lì a ricordargli la temibile concretezza del pericolo (o forse, più semplicemente, degli anni che passano). La sequenza iniziale dello stupendo “Top Gun: Maverick” racchiude metaforicamente tutto il Tom Cruise degli ultimi dieci anni.

Eppure, confinare i meriti del franchise al solo attore protagonista sarebbe ingiusto. Ispirata all’omonima serie televisiva, la saga inizia nel 1996 con “Mission: Impossible” di Brian De Palma, che all’azione – comunque presente e godereccia – privilegia lo sguardo hitchcockiano che sappiamo essere la sua cifra stilistica.

La tensione quindi è il motore principale, come ben manifesta la sequenza più famosa del film, dove Tom è appeso a un centimetro dalla superficie che potrebbe far scattare l’allarme. “Mission: Impossible 2” (2000) apre il nuovo millennio, con John Woo alla regia che stravolge tutto e trasforma lo spy movie in un melò d’azione dove contano la velocità, l’estetica e il romanticismo più sfrenati, in un sequel non inferiore al precedente.

Con “Mission: Impossible III” (2006), J.J. Abrams sceglie un approccio estremamente realistico, come orientato a voler cambiare di nuovo le carte in tavola. Il risultato, grazie al mestiere del regista, a un cattivo memorabile quale Philip Seymour Hoffman e a un finale inaspettatamente anti-spettacolare, è ancora una volta eccelso.

Con “Mission: Impossible – Protocollo fantasma” (2011) Brad Bird, reduce dal cinema d’animazione (“Il gigante di ferro”, “Gli incredibili” e “Ratatouille”: dici poco!), imprime al film la stessa impostazione, puntando sull’ironia, sulla leggerezza e sulla dinamicità iperbolica delle scene d’azione.

L’attenzione inizia a spostarsi sulla personalità di Tom Cruise che comincia ad assumere un controllo produttivo più marcato. Il risultato è inferiore ai precedenti proprio perché manca un’impronta autoriale forte e decisa, ma è comunque molto divertente e la sequenza che vede l’attore arrampicarsi sul grattacielo di Dubai non si dimentica.

Esce quindi “Mission: Impossible – Rogue Nation” (2015) diretto da Christopher McQuarrie, ma il regista non esiste: Tom Cruise si mangia tutto e il film racchiude alcuni tra i momenti migliori della saga, risultandone un capitolo magnifico. A stretto giro arriva “Mission: Impossible – Fallout” (2018) sempre per la regia di Christopher McQuarrie (col quale, per inciso, l’attore vanta un sodalizio da “Jack Reacher – La prova decisiva” del 2012): Henry Cavill è un cattivo inaspettato, l’inseguimento contromano intorno all’Arco di Trionfo da cardiopalma, i colpi di scena tanti. Che importa quindi se il gioco inizia ad apparire ripetitivo?

Eccoci finalmente a “Mission: Impossible – Dead Reckoning – Parte uno” (2023), ancora diretto da McQuarrie e qui si esagera: 163 minuti sono troppi anche per Tom Cruise e il film non ha abbastanza idee e slanci per diversificarsi dai suoi migliori predecessori. Ma questo non ha smorzato per nulla l’attesa della parte due, che segnerà la fine di una saga leggendaria che ha introdotto una nuova concezione del blockbuster, ma anche la fine di una fase irripetibile della carriera di Tom Cruise. Un film, quindi, che nasce importante. Quello che succederà dopo, sarà storia.  

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A cura di Raffaele Mussini