Alien Romulus: perché potrà far brillare di nuovo la saga

Alien: Romulus può far davvero far tornare la saga ai fasti dei bei tempi andati? Ecco la nostra riflessione

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Arriviamo agli anni ’90 con Alien 3 (1992), un film importante non fosse altro perché è l’esordio di David Fincher (è curioso notare come i film della saga arrivino agli albori della carriera dei rispettivi autori). Eppure è forse il suo film meno riuscito assieme a “Mank”; sicuramente un passo indietro rispetto ai primi due. Vanta una cupezza e un pessimismo implacabili, aspetti che avremmo successivamente ritrovato nella filmografia del regista ma che qui assumono una veste quasi greve.

Oltretutto, da un superficiale punto di vista di effetti speciali, è quello invecchiato peggio. Non dobbiamo aspettare molto per vedere Alien – La clonazione (1997) di Jean-Pierre Jeunet, un regista alquanto inaspettato per prendere le redini del franchise. Ma a sorpresa, la concezione debordante del grottesco che connota Jeunet si sposa magnificamente con l’ideologia visiva alla base della saga.

Protuberanze, corpi deformi, sformati, rinati, in un tripudio affascinante e spettacolare che esplora soprattutto il dolore, ribalta con coraggio tutto quanto c’era stato prima (Ripley diventa il mostro) e utilizza gli effetti speciali con grande cognizione estetica (i connotati impressionanti dell’ibrido alieno-umano, disintegrato nello straziante finale). Passano quindici anni, il più grande lasso di tempo tra un capitolo e l’altro, ed esce Prometheus (2012) di Ridley Scott anticipato da grandi aspettative.

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La mania dei prequel contagia anche “Alien”, ma in realtà “Prometheus” si incastra poco con quanto sarebbe successo “poi”. Scott introduce Noomi Rapace e Michael Fassbender, e questo vale tanto, ma il film e le sue scenografie rischiano spesso di apparire come simulacri di una grandezza che sapevamo essere irripetibile.

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La scena dell’auto-suturazione della protagonista richiede tanta sospensione dell’incredulità, ma il film a molti è piaciuto. Sicuramente divisivo. Scott ci crede tanto e non lascia passare molto per realizzare “Alien: Covenant” (2017), che invece ha convinto meno il pubblico e la critica.

La prima parte, angosciante e immersiva, riesce quasi a restituire la suspence degli albori, poi però il film si inerpica in discorsi filosofeggianti sulla senzienza degli androidi. Fassbender è intenso e il film è indubbiamente molto sentito dal proprio autore. Oltretutto, l’“Entrata degli Dei nel Valhalla” nel finale è un bel momento, ma non possiamo parlare di un vero ritorno alla qualità di un tempo.  

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Tralasciando l’exploit di “Alien vs. Predator” (il primo un vero spasso, il secondo orribile), dittico a cavallo tra due saghe, non resta che aspettare il 14 agosto per l’uscita del settimo capitolo. Come si diceva, il trailer fa ben sperare, lasciando intravvedere una giusta dose di citazionismo e rivisitazione e abbassando drasticamente l’età media dei votati al macello, come se fossimo in uno slasher.

Un midquel (ah, queste mode!) che, lo ricordiamo, si colloca cronologicamente tra gli eventi di “Alien” (1979) e “Aliens – Scontro finale” (1986). Della trama sappiamo poco (un gruppo di giovani colonizzatori spaziali si imbatte nel relitto che ospita lo xenomorfo) e va bene così: lasceremo che sia Alvarez a stupirci, in un film che oltretutto potrà sancire la rinascita o decretare il fallimento del suo futuro artistico.

Che ne pensate?