Butterfly è una canzone oggi quasi inascoltabile, eppure per chiunque attorno ai trent’anni rimane un preziosissimo ricordo d’infanzia. Ecco come rileggiamo oggi questa hit dei Crazy Town e del compianto Shifty
Butterfly: la hit cult
“Come my lady, come-come my lady / You’re my butterfly, sugar baby“: questo il refrain della hit di cui parliamo, Butterfly, del 2000. Il gruppo: i Crazy Town, una formazione rap rock con ben sette componenti che nonostante una dedizione verso le forme più aggressive di nu metal (almeno sulla carta) è rimasta principalmente famosa per questa delicata ballad.
Erano tempi più semplici e ingenui, certo: brani come questo non avevano grande spessore ma potevano avere comunque successo anche grazie solo a un video azzeccato (qui sotto) e a un ritornello che, pur parlando del nulla, s’infilava in testa e non ne usciva più. Non guastava poi il carisma di vocalist come Shifty Shellshock, recentemente scomparso: l’archetipico cantante / rapper di inizio millennio.
Il testo
Butterfly è, diciamolo senza mezzi termini, una canzone sul niente: è un brano d’amore, come miliardi di altri simili, nel quale il narratore descrive quanto è fortunato ad aver trovato la sua “farfalla” e quanto lei sia bellissima e sexy e perfetta come una creatura fatata, concetto illustrato dalle modelle nel video musicale.
Il testo si perde tra dichiarazioni d’amore melense (‘Cause I can’t sleep, I can’t hold still / The only thing I really know is she got sex appeal“), racconti di trascorsi malavitosi (“Trapped on a short leash / Paroled the police files“) e la similitudine sbagliata che chiama in causa Sid e Nancy (“Sid uccide Nancy“, ci ricorda il nostro Caparezza). Non si può certo parlare di queste liriche in termini positivi.
La musica
E la musica? La musica di questo brano per certi versi “non esiste”, nel senso che anche se nel video la band compare con tanto di strumenti e apparentemente sta suonando, il pezzo è tutto incentrato su di un sample tratto da una canzone dei Red Hot Chili Peppers del 1989, Pretty Little Ditty, dall’album Mother’s Milk – il primo con John Frusciante, per inciso.
Butterfly è quindi una buona dimostrazione di come gran parte dei gruppi rap rock di fine anni ’90 e inizio anni ’00 fossero molta scena – in linea con le tendenze di MTV nonostante l’indole trasgressiva. Tatuaggi, capelli gellati, cappellini portati al contrario (pensiamo a Fred Durst) e abiti da rapper con t-shirt da pallacanestro, monili vari e possibilmente piercing e anelli in giro per il corpo. Questa era l’immagine generica.
Sotto c’erano gruppi di musicisti magari anche capaci ma molto spesso asserviti alle mode e inevitabilmente rimasti famosi solo per una canzone o due, che intercettavano i gusti dei giovani di allora con video accattivanti come questo. Non c’è dubbio infatti che gran parte del successo di Butterfly sia dovuto alla clip: è il motivo per il quale tutti noi oggi ricordiamo la canzone, collegandola immediatamente all’immaginario fantasy del video.
Tanta nostalgia
Difficile, quindi, dire se si trattasse di un buon brano o no, almeno in senso stretto. Musicalmente si ferma a metà strada tra il rap più innocuo dell’epoca e una certa attitudine rock qui però quasi invisibile – gli strumentisti, tecnicamente, non “suonano” nel pezzo. Qualcuno potrebbe dire che se c’è una cosa che Butterfly rappresenta ottimamente è la mediocrità di certa musica di quei tempi.
Non dobbiamo scordare però, importantissimo, il fattore nostalgia: per molti di noi la canzone appartiene all’infanzia o all’adolescenza, ci fa rivivere tempi in cui il mondo era più semplice e non continuamente polemico o controverso, e ci si poteva godere una musica dolce come questa senza ironia o guilty pleasure. E per quanto oggi possiamo guardare a un tale brano dall’alto in basso, vien da chiedersi: siamo sicuri di essere davvero migliorati?