Gli Occhi della Notte: il film che Stephen King ha definito “Il più spaventoso di sempre”

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Gli Occhi della Notte è un film terrificante con una bravissima Audrey Hepburn. Ha influenzato il thriller e l’horror delle decadi a venire e contiene uno dei primi famosi jumpscare che hanno terrorizzato una generazione. Assolutamente da recuperare

Gli Occhi della Notte

Ingiustamente dimenticato questo Gli Occhi della Notte (titolo originale: Wait Until Dark), un film che Stephen King, non certo uno qualunque quando si parla di orrore, ha definito come “il più spaventoso di sempre”. Nel film del 1967, diretto da Terence Young, la protagonista è Audrey Hepburn e interpreta una donna non vedente coinvolta nei piani di criminali senza scrupoli.

Costoro, interessati a qualcosa che si trova nell’appartamento della ragazza e di suo marito, iniziano un gioco psicologico per tentare di introdurvisi con l’inganno, sfruttando la disabilità di lei e alzando la tensione al massimo in scene dalla forza teatrale impressionanti, degne del cinema di Alfred Hitchcock.

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Sola nel buio

Tutto il film è giocato sul fatto che la ragazza, Susy, non può vedere i malfattori e quindi deve basarsi solo sugli altri sensi, l’udito e il tatto, per prevedere le loro mosse. Ma può anche usare la cosa a suo vantaggio, come in una famosa scena in cui rompe tutte le luci, trovandosi quindi inaspettatamente in grado di affrontare il nemico da una posizione di superiorità.

La messa in scena però non sarebbe altrettanto valida se non fosse per Alan Arkin, che interpreta il villain Roat: forse uno dei “cattivi” più sottovalutati del cinema anni ’60, di certo un personaggio estremamente memorabile che fa splendidamente da controcanto alla “debole” Susy, schiava del suo handicap e inizialmente animale indifeso in gabbia.

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Il nuovo horror

In Wait Until Dark assistiamo a una tensione crescente di scena in scena, in un gioco psicologico sottile nel quale la ragazza cerca di prevedere e capire le mosse dell’avversario, e il campo di battaglia è l’appartamento: pieno di luoghi dove nascondersi, spazi stretti e angoli inquietanti che consentono la messa in scena di un thriller basato sulla percezione e sui sensi, che sono poi la vera sorgente della paura.

In questo senso il film fa da specchio alle tendenze filmiche contemporanee che spostano l’horror dai mostri gotici e dai personaggi fiabeschi a situazioni quotidiane, dense di risvolti psicologici forieri di efferata violenza in una totale assenza di qualunque morale. Basta pensare ai film di Hitchcock, appunto, o a un thriller quasi coevo come Il Promontorio della Paura, per individuare questa tendenza.

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Il leggendario jumpscare

Wait Until Dark funziona già benissimo per come è scritto, strutturato e recitato: un film denso di emozioni e autenticamente disturbante. Ma c’è la carta jolly: il jumpscare finale, in cui Roat balza fuori dal buio con tanto di agghiacciante accompagnamento sonoro e afferra Susy per la caviglia, facendola cadere.

Il jumpscare, uno dei primi davvero celebri in un’era in cui l’horror moderno ancora non ne faceva ampio uso, è rimasto famosissimo e viene citato spesso come scena cult per eccellenza, davvero inaspettata e intensa per l’epoca. Ancora oggi a rivederla (date un’occhiata qui sotto, 0:42) non potrete reprimere un brivido!

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