Joel Schumacher, tre film per conoscere il regista

Per ricordare la scomparsa di Joel Schumacher, abbiamo preparato delle riflessioni sui suoi tre film migliori.

Credits: moviestillsdb.com
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Un omaggio alla memoria di Joel Schumacher

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La fama ha vita breve, mentre l’infamia dura sempre più a lungo. Tale massima non può riassumere la carriera di Joel Schumacher ma sicuramente può dare un’idea del suo andamento irregolare e di come possa essere facile passare dalle stelle alle stalle. Dopo un’infanzia difficile, segnata da alcol, droghe, perdita precoce dei genitori e lavori saltuari, entra nel mondo dello spettacolo come costumista, diventando uno dei professionisti del settore più apprezzati ad Hollywood negli anni’70.

Le collaborazioni più importanti furono: Un rebus per l’assassino (1973) di Herbert Ross, Una pazza storia d’amore (1973) di Paul Mazursky, Il dormiglione (1973) e Interiors (1978) di Woody Allen.

Negli anni’80 ha l’opportunità di mettersi dietro la macchina da presa, diventando come uno dei più importanti registi di studi mainstream in quel decennio e quello successivo, grazie ad un stile visivo elegante ma al contempo provocatorio, nato grazie al suo background nella moda, e ad un notevole talento nello scoprire e lanciare giovani star come Kiefer Sutherland, Demi Moore e Colin Farrell.

Da regista ha alternato grandi successi di pubblico (Ragazzi perduti) ma oggi è ricordato per quei terribili flop di critica e di pubblico che portano il nome di Batman Forever, e Batman & Robin, che ne ridimensionarono la carriera presso i grandi studios. A quattro anni dalla sua scomparsa, si deve dire con ancora più vigore che no, Joel Schumacher non è stato solo Batman, ma tanto altro.

ATTENZIONE: Questa non è una classifica

Ragazzi perduti (1987)

Ragazzi perduti

Gli anni ’80 sono stati un decennio spartiacque per la definizione della nuova figura del vampiro nel cinema contemporaneo. Il solitario e spaventoso conte Dracula, vestito di mantello nero e residente in un tetro castello della Transilvania, viene sostituito da ragazzi giovani, forti, bramosi di una gioventù che è andata inevitabilmente persa nell’immortalità.

Una svolta glamour iniziata nel 1982 con Miriam si sveglia a mezzanotte, esordio alla regia di Tony Scott, proseguita con la commedia horror Ammazzavampiri di Tom Holland e che vede nel 1987 lo zenit con due film: Il buio si avvicina di Kathryn Bigelow e Ragazzi Perduti. La sinossi di quest’ultimo ha come protagonisti due fratelli, Micheal e Sam Emerson (interpretati da Jason Patric e Corey Haim), i quali si trasferiscono con la madre Lucy (Dianne West) in una piccola e ridente città costiera della California.

Durante il loro ambientamento nella nuova realtà, i due scoprono che la località è invasa da una banda di vampiri motociclisti, capeggiati da David (Kiefer Sutherland, figlio del compianto Donald Sutherland), responsabili di svariati omicidi. Già dal titolo è evidente l’intento di Joel Schumacher di rielaborare una personale versione di Peter Pan, dove i “Bimbi sperduti” sono sostituiti da giovani adulti travolti da pulsioni e cambiamenti, sottolineati egregiamente dalla regia di Joel Schumacher, attraverso dissolvenze e pezzi musicali particolarmente azzeccati, come People are strange e Cry little sister.

A differenze delle pagine di Barrie, Schumacher però affronta il tema dello smarrimento giovanile in un modo diretto, mettendo al centro della scena la cultura giovanile, perennemente in contrasto con la controparte adulta, perennemente anestetizzata dall’edonismo e l’apparenza, adattando la figura del vampiro sia al teen movie, tipicamente legato ai problemi dei diciottenni del cinema di John Hughes , come al cinema di avventura stile I Goonies di Richard Donner (in veste di produttore).

A trentasette anni di distanza Ragazzi perduti, pur con tutte le ingenuità del caso, figlie del periodo, mantiene ancor’oggi una scorrevolezza invidiabile, una capacità di intrattenimento notevole ed un posto d’onore tra i migliori e più interessanti film sui vampiri degli ultimi quarant’anni.

 Linea mortale (1990)

LINEA MORTALE

Dopo aver rielaborato la figura del vampiro in Ragazzi perduti, Joel Schumacher decide di cimentarsi in un altro sottogenere dell’horror: quello psicologico. Grazie al suo rapporto di amicizia con Micheal Douglas, qui in veste di produttore, ottiene la regia di una sceneggiatura intitolata Linea mortale( di cui vi sarebbe stato un sequel/spin-off nel 2017 con protagonista Elliott Page).

La storia si svolge a Chicago ed ha come protagonisti cinque studenti di medicina, Nelson (Kiefer Sutherland), Rachel (Julia Roberts), David (Kevin Bacon), Joe (William Baldwin) e Randy (Oliver Platt), i quali decidono di scoprire cosa vi sia dopo la morte. Per ottenere ciò, si organizzano per fermare uno dei loro cuori per alcuni minuti, simulando così la morte, per poi riportare in vita la persona ed avere una testimonianza diretta. Ciò porterà a conseguenze imprevedibili sulla mente e corpo dei giovani dottori.

Nel narrare i disagi della società giovanile Joel Schumacher dipinge i giovani scienziati come dei moderni ed inesperti Prometeo, desiderosi di valicare il muro della spiritualità attraverso la conoscenza scientifica per poter avere delle risposte su loro stessi e rielbaborare esperienze passate che, volenti o nolenti, ne condizionano le scelte.

Il bisogno di avere una risposta è equiparabile a quello che prova un drogato in crisi di astinenza; un problema, quello della tossicodipendenza, che il regista newyorkese rielabora metaforicamente attraverso la necessità dei protagonisti di prolungare sempre di più la durata dell’arresto cardiaco e, di conseguenza, la durata dell’esperienza extrasensoriale, che all’inizio si rivelerà piacevole ma poi diventerà un vero incubo.

Si può azzardare anche la sovralettura per cui Joel Schumacher sfrutti il genere anche per prendersi gioco di un certo delirio di onnipotenza che pervade certi medici, mostrando come il loro ego, specialmente quello di Nelson, possa condurre i protagonisti in una competizione, persa in partenza, per vedere chi riesce a guardare Dio stesso negli occhi.

La regia abbraccia un’estetica barocca ed allo stesso tempo decadente, supportata dall’avvolgente fotografia di Jan de Bont e dalle musiche di James Newton Howard, che riesce a valorizzare i momenti onirici, a lasciare un’impronta nella memoria dello spettatore ed a valorizzare un cast azzeccatissimo.

Un grande film che mostra la capacità di Schumacher di denunciare messaggi importanti attraverso film popolari e commerciali.

Un giorno di ordinaria follia (1993)

Un giorno di ordinaria follia

Il film più famoso di Joel Schumacher. Quello che è stato in grado di mettere d’accordo sia la critica che il pubblico. Il protagonista è William Foster (Micheal Douglas), il quale sta cercando di raggiungere la casa della sua ex moglie Beth (Barbara Hershey) per vedere sua figlia Adele nel giorno del suo compleanno. La sua auto si rompe, così la lascia in mezzo ad un ingorgo stradale e decide di incamminarsi verso casa.

Si reca in un minimarket per ottenere qualche spicciolo per una telefonata, ma il proprietario coreano non lo accontenta. Ciò scatenerà la perdita della ragione di William, il quale deciderà di abbatterà qualunque ostacolo/stortura sociale che si frappone tra lui ed il ritorno dalla sua famiglia. Il detective Prendergast (Robert Duvall) avrà il dovere di fermarlo.

Sarebbe troppo facile soffermarsi sull’iconicità di Micheal Douglas, perfetto nel mettere in scena un uomo sfinito, che sente di non avere più posto del mondo e a cui basta solo una piccola spinta per perdere definitivamente il senno. Come anche l’umiltà di Schumacher di mettersi pienamente al servizio del protagonista, limitandosi a seguirlo, senza ricorrere a virtuosismi particolari.

Ciò che colpisce maggiormente, a distanza di anni, è vedere come a Joel Schumacher importi di mostrare il confronto tra la giornata tipo di Prendergast, poliziotto capace e di animo gentile ma esasperato quotidianamente da sua moglie, e quella di William dove la follia, che però ordinaria perchè fa parte della vita quotidiana dei luoghi percorsi da William durante i suoi spostamenti, la fa da padrone.

Entrambi rappresentano due lati opposti della stessa medaglia, ovvero i due lati della personalità dell’uomo. Una istintiva e una razionale. Il regista newyorkese ne studia la convivenza e il continuo intreccio, innescato dalla vita di tutti i giorni, mostrando come l’uomo, per poter sopravvivere, deve sempre riuscire a non sfogare i propri istinti bestiali per poter sopravvivere.

Un cult ancora oggi, nonostante qualche personaggio stereotipato, riesce ancor’oggi ad essere iconico ed a comunicare al pubblico a trent’anni di distanza dalla sua uscita.

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