“Un mondo a parte” è nei cinema dal 28 marzo, e nel giorno della notizia della chiusura della scuola di Villetta Barrea, che ha ispirato il film di Riccardo Milani, pubblichiamo la nostra recensione. Abbiamo incontrato il regista in occasione della presentazione al Cinema delle Provincie di Roma, moderata dal critico cinematografico Francesco Di Brigida.
Un mondo a parte, La Trama
Michele Cortese (Antonio Albanese) è un professore di ruolo nella remota periferia romana. Stanco delle cose che non hanno anima, in cerca di sé stesso, farà domanda di trasferimento nel piccolo paese marsicano di Rupe, nel Parco Nazionale d’Abruzzo. Alla follia che gli attribuiranno molti amici e colleghi, lui risponderà con una ritrovata autenticità dei rapporti umani, del senso di lotta e appartenenza ad una piccola comunità. Per una scuola che sta per chiudere, e un’istruzione che rischia di morire. Insieme alla sua alter ego Agnese, vicepreside della scuola, (Virginia Raffaele) restituirà luce al futuro dei suoi ragazzi e regalerà una nuova opportunità e un nuovo inizio a sé stesso.
Un mondo a parte, La Recensione
Una scuola che chiude è la morte di un paese. Potremmo esordire così nella recensione di “Un mondo a parte”, nuova commedia di Riccardo Milani che abbiamo incontrato al Cinema d’Essai Delle Provincie di Roma.
Un film tanto complesso nei contenuti, quanto lineare nell’esecuzione. Riduttivo soffermarsi sul discorso della tecnica, quando il mondo raccontato da Riccardo, più che a parte risulta estremamente attuale. L’eterno conflitto e distanza tra provenienze sociali opposte, tra istituzione e popolo, tra forma e senso. E un’umanità che per il regista “non bisogna in nessun modo perdere.” Abbandonarsi al peggio è una sconfitta che nessuno di noi può e deve concedersi. E poi il racconto di una comunità straordinaria, come avvenuto già in altri suoi film come Grazie Ragazzi;in questo caso quella abruzzese, così impermeabile all’esterno e sensibile e resiliente al suo interno.
Il mondo degli opposti
Milani attraverso occhi e bravura del fedele compagno di viaggio Antonio Albanese, un John Keating all’italiana, descrive perfettamente quel senso di apparente “diffidenza” tutta abruzzese che in un primo momento sembra accoglierti con ostilità, per poi sapersi concedere con tutto l’amore possibile. La neve, l’insormontabilità delle montagne, l’intelligenza scaltra degli abitanti: non si tratta di freddezza, ma di capacità di proteggersi, di conoscere prima di fare un gesto.
In un mondo a parte dove tutto sembra andare a ritmi più lenti, Milani pone una lente di ingrandimento sulla verità e l’importanza dei rapporti umani. “Per me il cinema deve essere popolare” afferma il regista alla fine della proiezione. Un cinema capace di arrivare al pubblico, di non autocelebrarsi in circoli di nicchia, di toccare le corde più profonde del sentire umano.
Con lui ci siamo abituati a questo, la semplicità e la spontaneità del racconto in grado di mettere in scena la grande complessità del ragionamento. Poco importa allora se alcuni punti della sceneggiatura possono sembrare leggermente “sfiorati” o forzati, come ad esempio nel caso del tentato suicidio di una delle ragazze, perché il regista, nel tentativo di affrontare diversi temi, riesce ad arrivare comunque alla sostanza delle cose.
Poco importa anche se qualcuno parla di déjà-vu, intuendo l’umiltà dell’essere umano e del regista probabilmente più che voluti, con Benvenuti al Sud, Io speriamo che me la cavo o, scavando ancora più indietro nel tempo, Sei forte maestro.
Perché quello che rimane è il concetto di integrazione, appartenenza, resistenza che spesso fa rima con la “restanza” di Vito Teti. La stessa dell’intramontabile Ettore Scola che, come ricordato da Milani, a Pescasseroli lasciò casa e cuore, della serie: “C’eravamo tanto amati”…
La grammatica di regia
“Un mondo a parte” è un film per quanti con lo sguardo sanno andare oltre, non arrendendosi alla banalità e alla fredda crudeltà delle cose. Quando “non siamo noi a decidere cosa cambia e cosa resta”, come sostenuto da una convincente Virginia Raffaele, dobbiamo provare a respirare liberi “in un mondo che, prigioniero è”. E possibilmente farlo ristabilendo un contatto più profondo con la bellezza della natura che ci circonda, che deve accompagnare il viaggio, senza fare paura.
La differenza in questo senso l’hanno fatta proprio tutte quelle persone del cast che professionisti non erano. Attori e persone del luogo che hanno reso la narrazione più autentica ponendo l’accento sulla dimensione comunitaria e della condivisione. Talmente sincera che anche i professionisti – ci confessa il regista – in un primo momento si sono trovati tanto spiazzati nel metodo, quanto piacevolmente sorpresi nel contenuto.
A “La sala Professori” di İlkerÇatak, Milani sembra dunque opporre una grammatica di regia che raramente mette in quadro il protagonista in solitaria, preferendo ritrarlo prevalentemente insieme agli altri personaggi, con la complicità dei campi medi. Per far riflettere non servono sempre grandi imprese, a volte bastano piccoli miracoli. E anche questo, sì, “la montagna lo fa”.