The Animal Kingdom, la Recensione di un interessante sci-fi

Dopo un passaggio al Biografilm di Bologna, arriva finalmente in sala il 13 giugno, The Animal Kingdom, un bellissimo film francese che farà riflettere moltissimo sull'adolescenza come atto di ribellione politica doveroso e necessario.

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Si potrebbe prendere in prestito una famosa canzone dei Litfiba per parlare di The Animal Kingdom, piccola perla presentata a Cannes 2023 che arriverà anche in Italia dal 13 giugno, dopo un passaggio al Biografilm di Bologna. Una riflessione profonda sull’adolescenza, sui corpi che cambiano verso qualcosa di nuovo, mai capiti, mai accettati, mai realmente compresi.

The Animal Kingdom, la Trama

Siamo in Francia e molte persone si stanno trasformando in animali. Non sappiamo perché ma questa cosa accade e basta. La medicina cerca una cura ma sembra impossibile fermare questa singolare mutazione genetica. E in questo contesto Francois ed Emile, rispettivamente padre e figlio coinvolti loro malgrado da questo dramma, cercano di proseguire la loro vita che se tutto fosse normale, andando avanti per la loro strada. Finché poi, la mutazione non inizia a “prenderli” di mira.

The Animal Kingdom, la Recensione

Ad oggi non esiste crimine cinefilo più grave dello spoiler, a quanto pare. Pertanto, procederemo a parlare di questo piccolo gioiello senza svelare troppo della trama, lasciandovi comunque gustare i colpi di scena che The Animal Kingdom regala allo spettatore. Bastano infatti pochi attimi e il film ci catapulta in una realtà distopica, mostrandoci un ibrido uomo-animale di pregevole fattura.

Cosa sta succedendo all’uomo? Abbiamo solo riscontri oggettivi che lasciano con ancora più domande, prive di risposta. L’uomo sta cambiando, esattamente come il mondo che lo (ci) circonda. Sarà per il cambiamento climatico o sarà una semplice questione di adattamento. The Animal Kingdom non vuole dircelo perché non è il punto del film. Quindi, lasciate ogni speranza o voi ch’entrate (in sala). E va benissimo così.

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Thomas Cailley giunge alla sua seconda regia, a quasi dieci anni dal suo esordio dietro la macchina da presa con il pregevole The Fighters (da non confondere con l’omonimo americano), proponendo una nuova storia che guarda agli adolescenti. O teen movie, se preferite. Il succo tuttavia non cambia. Con la differenza che in questo The Animal Kingdom la parte politica è più marcata, rispetto al suo esordio.

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Un profondo passo in avanti dunque per Cailley, che di fatto si conferma come un regista da seguire con attenzione. La sua regia regala momenti molto intensi, indugiando su questi corpi che si stanno modificando di volta in volta, divenendo sempre più animali e sempre meno umani. Eppure, come una certa fetta di arte insegna, alle volte è l’animale ad essere più umano dell’essere umano. Una banalità, certo. Ma c’è modo e modo di dire (o mostrare) le cose.

In questo senso, The Animal Kingdom ci mostra anche l’importanza in generale di quanto in un film il “come” sia più importante del “cosa“. E qui Cailley ci riesce benissimo a dir poco e al netto di qualche sbavatura legata a piccole sottotrame gestite con una certa banalità, come lo svilupparsi dell’amicizia tra l’uomo-uccello e il protagonista Emile, nel pieno delle sue turbe ormonali. Roba davvero di poco conto, rispetto al film e a quella sequenza finale dove vari long take ci fanno entrare nel regno animale da cui il titolo del film.

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Un momento di puro cinema sensoriale, uno spettacolo per gli occhi e per l’anima soprattutto. Ibridi perseguitati come nella miglior tradizione intollerante della razza umana, che vede nella repressione e nell’insurrezione becera e popolare, l’unica arma possibile per contenere ciò che viene bollato come diverso.

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Ecco quindi che lo sviluppo del film inizia a viaggiare su due binari fortemente paralleli, dove lo sviluppo e l’adolescenza diventa un vero e proprio atto di ribellione politica e sociale. Impossibile dunque non pensare niente di meno che agli X-Men di Stan Lee, nati come grande allegoria dei corpi che cambiano e di “poteri” complessi nella loro gestione.

Se in quel di Hollywood però la strada che si intraprende è quella della spettacolarizzazione ad ogni costo, tra combattimenti e quant’altro, nel cinema europeo, e in particolar modo in quello francese, l’attenzione di sposta decisamente su altro. E per certi aspetti, possiamo anche affermare che è un po’ come accadde qui nel nostrano suolo patrio con Lo Chiamavano Jeeg Robot.

Topoi analoghi tra di loro ma letti in maniera nettamente differente. Da un lato, Mainetti e il nostro tanto (a torto) vituperato cinema di genere italiano, dall’altro, Cailley e il cinema politico francese, dove la riflessione, umana e umanista, si fa spazio rispetto all’azione. E che ci ricorda di quanto il cinema sia uno strumento capace di toccare corde interiori che forse neanche sapevamo di avere.

Cast

  • Romain Duris: Francois
  • Paul Kircher: Emile
  • Adele Exarchopoulos: Julia
  • Billie Blain: Nina
  • Tom Mercier: Fix

Trailer

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RECENSIONE
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Lorenzo Pietroletti
Classe '89, laureato al DAMS di Roma e con una passione per tutto ciò che riguardi cinema, letteratura, musica e filosofia che provo a mettere nero su bianco ogni volta che posso. Provo a rendere la critica cinematografica accessibile a tutti, anche al "lattaio dell'Ohio".
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