Batman, 85 anni e non sentirli: analisi di un’icona immortale

Batman compie 85 anni: ripercorriamo la sua carriera a fumetti con le sue varie fasi e i più importanti capitoli tra film e telefilm, al cinema e in TV

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da Facebbok, Uncanny Comics
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Batman compie 85 anni.

Perché nel maggio del 1939, sul n. 27 della rivista Detective Comics esordiva un nuovo personaggio, presente in copertina: era the Bat-Man, ideato da Bill Finger e Bob Kane, e tutto l’immaginario intorno a lui sarà reinventato e reimpostato, staccandosi da tutta l’iconografia visiva a cui il pubblico è abituato.

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85 anni fa…

Erano tempi diversi, allora, per il fumetto statunitense, nelle edicole spopolava l’albo di Superman, in quella che oggi viene ricordata come la Golden Age del fumetto. L’alter ego di Clark Kent era pubblicato sulla rivista Action Comics, edita dalla National Comics Publications -la futura DC Comics-, e aveva un successo crescente: d’altronde, era la perfetta metafora yiddish: già il suo vero nome, Kal El, in ebraico significa qualcosa come Voce di Dio, poi c’è la sua vicenda iniziale che ricorda quella di Mosè -due orfani abbandonati e salvatori del proprio popolo.

Bill Finger allora prese a modello il sopravvissuto kryptoniano per proporre un personaggio simile ma non uguale: il mantello non poteva mancare, e per questo si fece ispirare da uno schizzo di Leonardo da Vinci con il suo dispositivo volante soprannominato ornitottero. Poi pensò di andare oltre la semplice mascherina, e dotare allora il Bat-Man di un cappuccio, e di una doppia identità con l’alias di Bruce Wayne derivante da Robert Bruce, il patriota scozzese, e poi a Mad Anthony Wayne così da avere un nome proprio che ricordasse il colonialismo.

Nel frullato, ci infilò anche il popolare he Phantom di Lee Falk, e dettagli alle pulp fiction, le riviste economiche con racconti di enorme consenso della prima metà del novecento. Et voilà, the Bat-Man approdava nelle edicole pronto a non lasciarle più per le prossime nove decadi almeno.

Batman, il Sindacato del crimine e la censura

La prima storia era The Case of The Chemical Syndacate, e mostrava un personaggio centrale che non si faceva problemi a mutilare o uccidere i suoi nemici: ma da lì in poi Batman subì numerosi cambiamenti, sia narrativi che grafici, dalle orecchie più lunghe ad origini più precise, con una rappresentazione pulp che iniziò ad ammorbidirsi nel 1940 con Detective Comics #38, quando apparì un altro personaggio destinato a rivoluzionare la cultura pop e non solo, ovvero Robin, il ragazzo meraviglia.

Le vendite raddoppiarono: da una parte, ora il detective incappucciato aveva il suo “watson”, dall’altra anche i ragazzi avevano un personaggio coetaneo con cui identificarsi.

Un altro passaggio fondamentale è nel post Seconda Guerra Mondiale, quando la DC Comics (che aveva assunto questo nome proprio dalla sua rivista a fumetti di punta, Detective Comics) decise di smorzare l’enfasi dei suoi personaggi a favore di un fantasy giovanile più spensierato. Dalle pagine di Detective Comics allora sparisce il mondo cupo e minaccioso che la aveva contraddistinto, e dagli anni 40 Batman divenne un cittadino rispettabile nonché un’amabile figura paterna, luminosa e colorata.

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Nonostante Batman fosse uno dei supereroi che resisteva al calo delle vendite, continuando ininterrottamente ad essere pubblicato nonostante i marosi editoriali, negli anni ’50 una bordata non indifferente fu data dalla celebre crociata dello psicologo Fredric Wertham nel suo libro Seduction of Innocent, del 1954, dove si indicavano le storie a fumetti con le principali cause della criminalità giovanile, per il loro spingere i ragazzini all’emulazione dei super criminali; Wertham ne aveva anche per Robin, accusato di supposte oscene sfumature omosessuali.

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Fu quest’attività censoria che ebbe come risultato l’accento ulteriore su atmosfere solari e spensierate: anche personaggi come Bat-Girl pre Barbara Gordon (1961) vennero introdotti proprio per sfatare la presunta omosessualità del dinamico duo. Era il periodo in cui la testata scivolava verso la deriva sci-fi, nel tentativo di imitare altri super della DC, fino al debutto di Bats come membro della JLA in The Brave and the Bold #28.

A metà anni Sessanta successe però l’impensabile: le vendite di Detective iniziarono a flettersi, e Julius Schwarts, l’editore, ebbe il compito di programmare la morte di Batman. A partire dal 1964 e dal numero 327 allora si iniziarono ad applicare drastici cambiamenti che erano pubblicizzati come New Look: via il maggiordomo Alfred, dentro il logo giallo con il pipistrello, via Batwoman e dentro la zia Harriet.

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Contemporaneamente, nel 1966 debuttava in tv la serie dedicata all’eroe oscuro: un successo imprevisto quanto abnorme si potrò dietro una tiratura del fumetto mensile che arrivò a toccare quasi 900.000 copie a numero, ma era un fuoco di paglia. Il telefilm, oggi oggetto di culto per la sua natura camp, appiattiva le trame sempre di più, e nel giro di due anni venne cancellato dai palinsesti. Sul fumetto invece arrivarono artisti come Dennis O’Neil ai testi e Neal Adams ai disegni, che decisero di dare una drastica virata alle trame riportando Batman alle sue origini gotiche degli anni 30.

Il fumetto scongiurò la chiusura ma non riuscì ad avere il consenso precedente: perché per averlo dovevano arrivare gli anni Ottanta e un signore di nome Frank Miller.

L’oscurità del Cavaliere e altre storie

Al di là dell’immagine, dei motivi narrativi e dell’elemento fantastico nel Cavaliere Oscuro, Miller è riuscito a creare un’autentica leggenda in Batman, introducendo l’elemento senza il quale tutte le vere leggende sono incomplete, e che tuttavia non pare mai essere presente nel normale fumetto, ossia il tempo”: a dire queste cose non è un lettore qualunque ma Alan Moore, uno dei più grandi scrittori di fumetti viventi, autore dell’altro moloch della Settima Arte che è Watchmen.

Il Ritorno Del Cavaliere Oscuro, scritto e disegnato da Frank Miller e pubblicato su una miniserie di quattro albi, fu l’opera che portò il genere supereroistico ad un livello molto più adulto, il punto di svolta dopo il quale niente e nessuno, davvero, potevano più essere uguali.

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Un segno inquietante, doloroso, tormentato, violento, dice Enzo Baldoni: ma The Dark Knights Returns è tante cose insieme, è uno stupendo romanzo sulla malinconia, capace di restituire il senso più profondo dell’immaginario contemporaneo; è il più appassionato e intelligente saggio mai scritto su quel bestiario che è il mondo dei supereroi, tutto realizzato con una consapevolezza artistica da lasciare senza fiato.

Contemporaneamente al successo finanziario dell’operazione, O’Neil assunse il ruolo di editor dei titoli che giravano intorno al mondo di Batman; e complice la miniserie Crisis On Infinite Earths, con la quale Marv Wolfman e George Perez riscrivevano da zero l’universo narrativo DC, lo status quo del Cavaliere Oscuro venne cambiato nuovamente e per l’ultima volta, a partire proprio da Year One, la serie nella serie pubblicata sul mensile Batman #404-407, ad opera sempre di Miller e con i disegni di David Mazzuchelli.

È uno dei periodi più fecondi del Batman a fumetti, anche grazie a Batman: The Killing Joke proprio di Moore con le illustrazioni di Brian Bolland, del 1988; e Arkham Asylum: Una folle dimora in un folle mondo (Arkham Asylum: A Serious House on Serious Earth, sottotitolo tratto dal poema Church Going di Philip Larkin) graphic novel scritta da Grant Morrison e illustrata da Dave McKean, del 1989.

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Da lì in poi, il personaggio rimase fedele all’impostazione milleriana: il fumetto attraversò diverse incarnazioni, rimanendo fedele però al charachter originario di Finger.

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Dal # 900, A Death in the Family, dove furono i lettori a decidere se Joker avrebbe dovuto uccidere Robin oppure no (spoiler: si), a Knightfall, del 1993, quando un villain come Bane spezzò la schiena di Wayne e Jean-Paul Valley assunse il ruolo di un Batman in armatura; da No Man’s Land, macrotrama del 1999 quando Gotham City fu distrutta da un tremendo terremoto, a The Long Halloween, miniserie capolavoro di Tim Sale e Jeph Loeb, che reinventava la più ricca e tridimensionale galleria di cattivi di tutto il mondo del fumetto. Fu però il geniale, psichedelico Morrison a ideare un nuovo snodo narrativo fondamentale per il cavaliere oscuro: Batman R.I.P. nel 2006.

Batman muore, evviva Batman!

Grant Morrison non certo nuovo a controverse quanto affascinanti e geniali reinvenzioni del genere superomistico: basta pensare alla sua run sugli X-Men della Marvel, dove in quattro anni non solo rivoluzionò il loro status quo ma ne ridisegnò le caratteristiche fondanti da lì in avanti, sommandosi a Claremont, Lobdell e ora Hickman come demiurgo mutante, o ancora al suo Animal Man o allo stesso Superman in All Star Superman.

Su Batman ha un’idea enorme quanto semplice nella sua suggestione, ovvero prendere tutte le storie del Batman anni Quaranta e Cinquanta, ovvero del suo periodo più solare e camp, comprese le avventure a sfondo fantascientifico e weird, e inglobarle nella continuità batmaniana, per restituire un Batman cosciente a 360à della sua eternità.

Complicato ed elementare in un colpo solo, per Morrison: il risultato è una storia lunga sette anni, inquieta, inquietante e affascinante, da settembre 2006 a marzo 2013, lungo i mensili Batman, Batman e Robin e Batman Inc, tra organizzazioni segrete, demoni e psicologia.

Negli ultimi anni, hanno contribuito a rendere sempre grande il personaggio autori come Tom King (che nella sua permanenza sul mensile lo ha fatto quasi sposare con l’eterna innamorata Catwoman, in un ciclo di storie intensissimo dalla rara definizione psicologica), Scott Snyder (con la seconda serie dal titolo Batman dal novembre 2011 al novembre 2014 ha ridefinito i primi anni di Batman a Gotham e il ruolo di Joker), fino agli autori di oggi, ovvero Chip Zdarsky e soprattutto Ram V, che proprio su Detective Comics insieme a Raphael Albuquerque e Ivan Reis sta scrivendo alcune tra le pagine più affascinanti dell’intera storia dell’eroe con il ciclo Il Notturno di Batman.  

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Quello di Batman è uno dei miti più duraturi e magnetici della storia del fumetto, e lui stesso è uno dei personaggi chiave della letteratura illustrata.

In Batman and Psycology: a dark and stormy night, il dr. Travis Langley dice che il concetto di archetipo, per come descritto da Jung e Campbell, è presente nel mito di Batman, così che il personaggio possa rappresentare l’archetipo dell’ombra. Che secondo loro sarebbe il lato oscuro di una persona, non necessariamente il Male, ma sicuramente il lato nascosto sia al mondo che a noi stessi. Langley utilizza la prospettiva junghiana così da affermare che Batman fa appello alla nostra necessità di affrontare il nostro sé ombra.

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Va sottolineato come i villain di Batman siano tra i più ricchi psicologicamente dell’intero pantheon a fumetti, e per il concetto tematico che li caratterizza sono un elemento psicologico fondamentale per le sue storie: di fatto, attraverso il loro rapporto con l’alias di Bruce Wayne creano un mezzo per profilare e studiare la sua psiche, soprattutto i suoi lati più oscuri e direttamente indicabili come disturbi mentali.