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Sì, è una storia vera e fa venire i brividi: Stanislav Petrov è diventato un eroe, ma prese una sola, semplice e coraggiosa decisione
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1983. In Unione Sovietica il tenente colonnello Stanislav Petrov, 44 anni, è incaricato di sorvegliare il sistema satellitare di prima allerta Oko (“occhio”), la cui funzione è quella di avvisare di un attacco balistico da parte dei nemici; ossia, visto il periodo, gli americani. Il 26 settembre il lavoro prosegue come sempre, e Stanislav non sa che sarà una delle giornate più importanti della sua vita e forse della storia intera.
Oko lo avvisa infatti all’improvviso che è in arrivo un missile balistico dall’America, con altri quattro che lo seguono a ruota. Questi missili, ben inteso, trasporterebbero testate nucleari. Un attacco del genere avrebbe subito due gravi conseguenze: uno, distruzione e perdite umane incalcolabili; due, una risposta corrispondente, secondo la famosa logica della Mutua Assicurata Distruzione (M.A.D., non a caso), volta ad arrecare danni in egual misura agli Stati Uniti.
In altre parole, lo scoppio del tanto temuto conflitto nucleare mondiale: ad un attacco e una risposta seguirebbe una contro-risposta, una contro-contro-risposta e così via fino a che i due paesi non si annienterebbero a vicenda, distruggendo nel frattempo l’ecosistema mondiale con risultati devastanti non solo per russi e americani ma per tutti (o quasi). Non si tratta di uno scenario improbabile: già prima dell’83 ci si è andati vicini molte volte, in particolare con la Crisi dei Missili di Cuba del 1962.
Petrov, ricevendo l’avviso di Oko, è ben consapevole di tutto questo. I suoi ordini gli imporrebbero di avvisare subito i superiori, che avviserebbero i propri a catena e su su fino al Cremlino e a Yuri Andropov, leader dell’U.R.S.S. in quel periodo. Da lì, la decisione di rispondere al fuoco nemico con ordigni di egual potenza sarebbe probabilmente automatica e istantanea viste anche le tensioni altissime dei primi anni ’80, dovute a continue dispute come l’invasione dell’Afghanistan da parte russa.
Eppure, Stanislav decide di non fare niente di niente. Attende una conferma, che non arriva mai, e corre un grosso rischio; ma ha ragione a sospettare che si tratti di un falso allarme. I satelliti, infatti, si sono “confusi” per via di un inaspettato allineamento della luce solare con delle nubi ad alta quota. Una “svista” che potrebbe causare la fine del mondo, ma alla quale Petrov rimedia semplicemente mettendo una serie di ragioni logiche dietro alla sua decisione.
Uno: un attacco americano dovrebbe avvenire con tutte le forze disponibili: cinque soli missili non hanno alcun senso. Due: il sistema di identificazione del lancio è relativamente nuovo e, per l’ufficiale, non troppo affidabile. Tre: il messaggio passa attraverso trenta livelli di verifica fin troppo velocemente. Quattro: il radar a terra non conferma la presenza dei missili, anche dopo diversi minuti di attesa. Con i nervi saldi, Stanislav non agisce, non informa i superiori e compie la scelta giusta.
Risultato: non riceve alcun elogio e viene anche rimosso dal suo incarico e riassegnato. Questo perché i superiori e i tecnici progettisti di Oko sono imbarazzati dall’errore e, in pura logica sovietica, non vogliono che si venga a sapere o che se ne parli. Il gesto di Petrov viene svelato solo negli anni ’90, dopo la caduta dell’U.R.S.S.. Quando la verità si viene a sapere, l’ex-militare diventa giustamente famoso e su di lui viene anche girato un documentario: The Man Who Saved the World.
Muore nel 2017 celebrato come un autentico eroe. Ma in una intervista nel documentario spiega: “Tutto quello che è successo non aveva importanza per me, era il mio lavoro. Stavo semplicemente facendo il mio lavoro ed ero la persona giusta al momento giusto, ecco tutto. Mia moglie non ne ha saputo niente per dieci anni. ‘Quindi che cosa hai fatto?’, mi chiedeva. ‘Niente, non ho fatto niente’“. Sarà, ma fa molta impressione pensare che senza questo “niente” oggi forse molti di noi non sarebbero qui.