Secondo questa giornalista del New York Times, 5 miliardi di persone morirebbero in 72 ore ma questi due paesi si salverebbero
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No, non c’è l’Italia (purtroppo) tra i due paesi menzionati da Annie Jacobsen, giornalista investigativa del New York Times e candidata al Premio Pulitzer nel 2016 – non una qualunque, quindi – in una possibile previsione sugli effetti di una guerra nucleare. Un argomento caldo, e non solo per via del successo della serie di Fallout.
Secondo la Jacobsen, uno scambio di bombe atomiche a livello mondiale avrebbe effetti devastati – ovviamente – tra i quali quello più dannoso a lungo termine sarebbe lo spargimento di una grande nube di fumo che si diffonderebbe su tre continenti, causando una “mini era glaciale”.
Questo porterebbe alla morte di cinque miliardi di persone su otto nel giro di 72 ore, al di là degli effetti delle esplosioni stesse, e distruggerebbe completamente l’agricoltura in punti chiave del pianeta nei quali viene particolarmente praticata e che fungono da “riserve”. Spiega la giornalista: “Buona parte del mondo, certamente le medie latitudini, sarebbe coperta di ghiaccio”.
“Luoghi come l’Ucraina o lo Iowa sarebbero solo neve per dieci anni. L’agricoltura fallirebbe, e quando l’agricoltura fallisce la gente muore. In più hai l’avvelenamento da radiazioni perché lo strato di ozono sarebbe così danneggiato e distrutto che non potresti uscire nel sole, la gente sarebbe costretta a vivere sottoterra”. Sì, sembra proprio uno scenario da Fallout.
Ci sono però due paesi nei quali l’agricoltura potrebbe sopravvivere, e quindi anche gli abitanti. Quali? L’Australia e la Nuova Zelanda. Forse perché distanti dalle masse continentali, forse perché posti a latitudini molto a sud, queste due nazioni riuscirebbero ad evitare buona parte degli effetti diretti del disastro. Nell’affermarlo la Jaconbsen chiama in causa un tal professor Brian Toon, esperto di clima e scienze atmosferiche.
Non abbiamo che da fidarci, che ne dite? In ogni caso, se già voleste trasferirvi in Australia ora avete una ragione in più.